Andare in pensione con Ape Sociale non è vantaggioso come si potrebbe immaginare. Soprattutto in un contesto di inflazione elevata. L’anticipo pensionistico riservato a talune categorie di lavoratori svantaggiati o gravosi è infatti una mezza trappola di cui pochi si sono finora resi conto.

L’anticipo pensionistico è infatti concesso a partire dai 63 anni di età con un’anzianità contributiva minima che va dai 28 ai 36 anni. L’indennità economica mensile riconosciuta dall’Inps, impropriamente chiamata pensione, è corrisposta fino al raggiungimento dei 67 anni di età.

Poi cessa e diventa pensione (su domanda) a tutti gli effetti.

Ape Sociale, una trappola per molti lavoratori

Ma vediamo perché Ape Sociale è svantaggiosa per i lavoratori che vi accedono. Oggi più di ieri. Innanzitutto bisogna dire che l’indennità economica è calcolata in base ai contributi versati al momento della richiesta di pensione anticipata. L’Inps fotografa la situazione contributiva del soggetto e liquida l’indennità su base mensile.

Dal mese successivo alla domanda, inizia a decorrere il pagamento della prestazione che si articola su 12 mensilità. Non è prevista la tredicesima e nemmeno la quattordicesima per chi casomai ne avesse diritto. Solo al raggiungimento dei requisiti per la vecchiaia, la prestazione diventa pensione in via definitiva e a quel punto sono riconosciuti anche gratificazioni e bonus.

Nel frattempo, fino al compimento dei 67 anni di età, il lavoratore resta in una sorta di anticamera nella quale non può lavorare, se non in stretti limiti previsti dalla legge. Non solo, durante il periodo di godimento di Ape Sociale, non sono riconosciuti dall’Inps contributi figurativi sull’indennità mensile, utili ai fini della misura della pensione.

Tetto massimo della pensione a 1.500 euro

E veniamo all’altro tasto dolente: l’importo della prestazione. Secondo la normativa, l’importo liquidato come anticipo pensionistico non può superare i 1.500 euro mensili. Il che significa che, per chi accede ad Ape Sociale a 63 anni, non spetterà nulla di più per 4 anni di tempo, ammesso che la sua pensione a calcolo sia superiore.

Solo al momento della trasformazione della prestazione in pensione è riconosciuto appieno l’assegno maturato.

Quindi chi ha diritto a una pensione superiore a 1.500 euro mensili, perde già in partenza una fetta di rendita. Questa non sarà più recuperata e non vi sarà corresponsione di arretrati o differenze. Se, ad esempio, un lavoratore avesse diritto a una pensione di 2.000 euro mensili, con Ape Sociale prenderebbe 1.500 euro al mese fino al compimento dei 67 anni. Solo dopo percepirebbe 2.000 euro al mese.

La svalutazione della pensione

Ma c’è un altro fattore negativo che bisogna tenere presente. Si tratta della rivalutazione. L’importo mensile dell’anticipo pensionistico, a differenza della pensione, non è rivalutabile negli anni. Pertanto chi percepisce questa indennità non potrà contare sull’incremento annuale previsto per le pensioni dirette e indirette. Quindi l’indennità e la pensione futura si svalutano.

Solo nel 2023, per effetto dell’impennata dell’inflazione, le pensioni sono state rivalutate del 8,1%. Incrementi significativi sono previsti anche per il 2024 e gli anni a venire. A conti fatti, quindi, si può arrivare a considerare un mancato guadagno significativo per il pensionato. Quindi, a tutti gli effetti, un taglio consistente. Anche perché la pensione vera e propria sarà liquidata sulla base di quanto già calcolato per l’anticipo pensionistico in partenza. Insomma, è come se la pensione futura rimanesse congelata nel tempo.

Riassumendo…

  • Ape Sociale è una mezza trappola per molti lavoratori.
  • Il tetto massimo della prestazione è pari a 1.500 euro al mese.
  • Non c’è tredicesima né quattordicesima.
  • La prestazione di Ape Sociale non è rivalutabile.
  • L’inflazione erode il potere di acquisto del pensionato.