I privilegi dei parlamentari non si fermano di certo agli “stipendi”, considerati fra i più alti d’Europa. I vantaggi sono anche in materia di pensioni, non tanto riguardo all’importo, quanto per l’età.

Dal 1 gennaio 2012, con la riforma Fornero, i vitalizi sono stati aboliti per i nuovi eletti e il trattamento pensionistico è stato adeguato a quello dei dipendenti pubblici. Il che significa che i contributi versati alla cassa di previdenza di Camera e Senato sono utili ai soli fini del calcolo contributivo della pensione maturata per gli anni di mandato di rappresentanza.

Rispetto ai lavoratori dipendenti i coefficienti di trasformazione sono leggermente più favorevoli, ma per il resto anche i parlamentari italiani godono degli stessi diritti dei lavoratori ordinari. Salvo una particolarità che non è da poco: l’età pensionabile.

Parlamentari, in pensione a 65 anni

I parlamentari maturano infatti in diritto ad andare in pensione al compimento di 65 anni di età. Ma se hanno ricoperto la funzione di senatore o deputato per più di una volta nella loro carriera, l’età si abbassa a 60 anni. Il che li pone in una situazione privilegiata rispetto agli altri lavoratori. E’ necessario, però, che per andare in pensione a 65 anni siano ricoperti almeno cinque anni di mandato, ragion per cui dal 2012 in avanti le legislature durano per cinque anni e le elezioni anticipate sono diventate un ricordo del passato.

Quando bastavano appunto pochi anni di rappresentanza per prendersi il vitalizio. Ricapitolando, quindi, il diritto al trattamento pensionistico si matura al conseguimento di un duplice requisito, anagrafico e contributivo. L’ex parlamentare ha infatti diritto a ricevere la pensione a condizione di avere svolto il mandato parlamentare per almeno 5 anni e di aver compiuto 65 anni di età. Per ogni anno di mandato oltre il quinto, il requisito anagrafico è diminuito di un anno sino al minimo inderogabile di 60 anni.

A quanto ammonta la pensione dei parlamentari?

L’importo della pensione dei parlamentari non è un segreto. Con cinque anni di esperienza politica alla Camera o al Senato si ottiene un assegno di 1.000 euro netti al mese. Cifra che sale in base al numero di anni di rappresentanza politica. Poco o tanto? Se si considera che un operaio percepirà più o meno la stessa pensione dopo 40 anni di lavoro con il sistema di calcolo interamente contributivo, sembra tanto. Ma vi è anche da dire che i contributi versati al sistema pensionistico sono rapportati alla retribuzione, circa 10 volte superiori a quella di un operaio. Il problema è che con più di un mandato parlamentare, la pensione aumenta e il periodo da indennizzare si allunga di cinque anni rispetto alle aspettative di vita. Cosa che col tempo rischia di mandare fuori equilibrio i conti delle casse previdenziali di Camera e Senato, già dissestate dal costo dei vitalizi.

Pensione e vitalizio

Il nuovo sistema di calcolo contributivo si applica integralmente ai parlamentari eletti dopo il 1° gennaio 2012. Mentre per quelli già cessati dal mandato e successivamente rieletti, si applica un sistema pro rata. Esso è determinato dalla somma della quota di assegno vitalizio definitivamente maturato alla data del 31 dicembre 2011, e di una quota corrispondente all’incremento contributivo riferito agli ulteriori anni di mandato parlamentare esercitato. Qualora un deputato o senatore sia già in pensione, l’assegno è sospeso se il parlamentare è rieletto. La pensione stessa verrà poi ricalcolata con importo maggiorato al termine del periodo di rappresentanza.

Assegno di fine mandato

Al termine del mandato parlamentare, il parlamentare riceve dal Fondo di solidarietà fra i rappresentanti di Camera o Senato l’assegno di fine mandato. Tale assegno è pari all’80 per cento dell’importo mensile lordo dell’indennità, moltiplicato per il numero degli anni di mandato effettivo.

L’assegno è calcolato ed erogato sulla base di contributi interamente a carico dei parlamentari, cui è trattenuto mensilmente il 6,7 per cento dell’indennità lorda.