Travolto dalla crisi bancaria più che dall’emergenza coronavirus, San Marino rischia il default. Per anni crocevia di attività riconducibili all’evasione fiscale, il Titano è in crisi di liquidità e rischia di scomparire.

La Repubblica di San Marino, terzo Stato indipendente più piccolo d’Europa, rischia quindi di andare gambe all’aria se non trova i soldi necessari per tirare avanti. C’è un buco pubblico da 360 milioni di euro causato prevalentemente dalla crisi bancaria che ha visto la fuoriuscita di molti clienti (soprattutto italiani) dopo l’inasprimento della lotta al riciclaggio tre anni fa da parte di Roma.

San marino chiede aiuti per 500 milioni

Così San Marino, per evitare il collasso, senza rinunciare alla propria “sovranità”, ha chiesto aiuto finanziario alla comunità internazionale, ma in particolare all’Italia i cui affari con la piccola Repubblica sono strettamente legati da prima della seconda guerra mondiale. Il piccolo Stato sulla rocca del monte Titano ha chiesto quindi alla banca d’affari JP Morgan di strutturare l’emissione di un prestito obbligazionario da 500 milioni di euro in maniera tale da sostenere la normale attività pubblica (pagamento pensioni, stipendi, servizi, ecc.) e per sostenere il sistema bancario quindi evitando la dissoluzione. In cambio, sarebbe però stata chiesto un particolare intervento in materia fiscale: l’introduzione dell’Iva.

San Marino pronta a introdurre l’Iva

Pur non essendo uno Stato membro dell’Unione europea, il territorio di San Marino è considerato parte della zona doganale Ue in virtù di uno specifico Accordo sulla cooperazione economica e sull’unione doganale firmato nel 1991. Sulla base di questo Accordo, il commercio tra San Marino e l’Unione è esente da ogni dazio o tassa sulle importazioni o esportazioni, e dalle imposte aventi un effetto equivalente. La legislazione sammarinese non prevede l’Iva, ma un’imposta monofase sulle importazioni, che è considerata un’imposta avente effetto equivalente all’Iva.

Nel quadro della riforma avviata nel 2013, è stata prevista la sostituzione dell’imposta monofase con un’imposta generale sui consumi (IGC), applicabile anche alle prestazioni di servizi, simile all’Iva europea.

Metà delle banche fallite

Si tratterebbe della contropartita chiesta dalla comunità internazionale a San Marino per la concessione dei prestiti. Una misura che i sanmarinesi non conoscono, ma potrebbero presto sperimentare. Insomma, più tasse per i residenti, ma anche per i turisti e per chi si reca a San marino per lavoro, con una dovuta franchigia per chi non è residente nel territorio della rocca. Del resto la situazione finanziaria di San Marino è da fallimento conclamato con un Pil dimezzatosi nell’arco di tre anni e la metà delle banche che hanno chiuso i battenti, mentre una è stata nazionalizzata. E quelle che sono rimaste aperte sono stracariche di debiti che in qualche modo dovranno essere ripianati. E’ il prezzo pagato da San Marino per gli impegni di trasparenza assunti a livello internazionale contro i paradisi fiscali effettuando rilevanti progressi sul versante della lotta all’evasione fiscale. D’altronde nessuno ha mai pensato che il benessere di San Marino potesse reggersi solo sul turismo.