L’Olanda è o non è un paradiso fiscale? Molte società internazionali, soprattutto holding, da anni trasferiscono la loro residenza fiscale nella terra dei tulipani.

Ad Amsterdam le holding non pagano quasi nulla sui profitti e il fisco è molto semplice. Anche la burocrazia è veloce e i procedimenti civili e giudiziari durano mediamente un quindi rispetto all’Italia.

Olanda, un paradiso fiscale all’interno della Ue

Questo semplice combinato sistema fiscale e burocratico attira quindi ingenti capitali che vengono sottratti dai rispettivi Paesi di appartenenza.

Col risultato che ogni anno per l’Italia si registra un ammanco di 10-12 miliardi di euro di tasse evase o eluse (se il termine è di maggior gradimento). In Italia, come sempre, restiamo indignati e stupiti di tutto questo perché l’Olanda è un Paese white list ufficialmente riconosciuto e appartiene alla Ue, pertanto non è classificabile come paradiso fiscale tout court. Ma nulla facciamo per impedire che le nostre aziende, da Fca a Exor, Cnh Industrial, ma anche Ferrero, Cementir, Campari, Telecom Italia, ecc. traslochino altrove. Cosa che, invece, paradossalmente fa l’Olanda con le sue multinazionali.

L’asse dell’evasione fiscale in Europa

Nel 2019, secondo la stima dell’indice dei paradisi fiscali della Rete per la Giustizia Fiscale, basata su un’attenta analisi delle leggi e dei sistemi fiscali e delle economie delle nazioni coinvolte, la metà dei rischi di elusione fiscale aziendale mondiali sono riconducibili al Regno Unito, alla Svizzera, al Lussemburgo e all’Olanda (che gioca un ruolo preponderante), definiti “l’asse dell’evasione fiscale”. L’OCSE, nel suo nuovo studio, ha scoperto che è a questa “asse” che si può ricollegare il 72% delle perdite di gettito fiscale indicate nei dati. I dati evidenziano la natura decisamente dispendiosa del modello dei paradisi fiscali. In cambio di una perdita di gettito fiscale annuale per i governi pari a 117 miliardi di dollari, i paradisi fiscali hanno raccolto solo 14,8 miliardi di dollari di gettito fiscale in più ogni anno.

Per ogni dollaro guadagnato dai paradisi fiscali in imposte grazie allo spostamento di utili delle multinazionali, il mondo ne ha persi 6 per azienda.

L’Olanda difende le proprie aziende

E’ recente la notizia che l’Olanda è, infatti, pronta a ristabilire le dogane per le multinazionali in uscita dal Paese. Il Parlamento de L’Aia si appresta ad approvare una nuova imposta volta a bloccare l’esodo delle grandi imprese verso regimi a fiscalità ancor più agevolata. Si chiama exit tax e andrebbe a colpirebbe le società con un giro d’affari superiore ai 750 milioni di euro. Di recente Unilever ha annunciato di voler fondere le sue due attività storiche in Olanda e Regno Unito in un’unica società con sede a Londra. La decisione, già accarezzata in passato dal colosso alimentare, ha creato scompiglio ad Amsterdam. Altri giganti industriali con sede in Olanda potrebbero infatti seguire l’esempio di Unilever (Royal-Dutch Shell avrebbe già fatto più di un pensiero), privando il Paese di fondamentali risorse di lavoro e di gettito. Da qui l’idea di una sorta di penale di uscita per chi scelga di abbandonare il già generoso fisco olandese in favore di regimi ancor più vantaggiosi. Sarebbe questo il caso del Regno Unito, che, a differenza dell’Olanda, non prevede una ritenuta fiscale sui dividendi.

E l’Italia?

Da noi accade il contrario. Anziché disincentivare l’esodo delle multinazionali oltre confine, le si incentiva ad andarsene via impoverendo il Paese. L’Italia per le imprese è un inferno fiscale con una pressione del fisco da guinnes dei primati. Ma non sono solo le tasse (alte) a toglier il fiato alle imprese, bensì anche l’eccessivo peso della burocrazia a tutti i livelli.

Il regime fiscale olandese è di fatto più pesante che in Italia per le persone fisiche e per le imprese, ma riserva alle holding una corsia preferenziale, nota sin dal ‘600. Dividendi e capital gain che affluiscono dalle controllate estere non concorrono all’imponibile, così come interessi e royalty non vengono tassati.