La Naspi è l’indennità per disoccupati involontari che l’Inps riconosce ai lavoratori che maturano una serie di requisiti. Per poter centrare l’ammortizzatore sociale infatti occorre aver completato diversi requisiti specifici e soprattutto restare nelle condizioni utili a fruire del beneficio. Fondamentale in questo senso il principio della perdita involontaria del posto di lavoro.

“Salve, sono Federico, ed ho 35 anni di età. Da due anni sono in servizio con un’azienda del settore della ristorazione. Abbiamo vissuto mesi di lunga e profonda crisi per via della pandemia ma tra cassa integrazione e sacrifici del datore di lavoro, sono riuscito a salvaguardare il mio posto di lavoro.

Adesso però, quando credevo che il peggio fosse passato, sta capitando da due mesi una particolare situazione che mio malgrado mi spinge a pensare in negativo. In pratica dopo il mese di agosto, anche settembre passerà senza che io riceva il mio stipendio. Il mio datore di lavoro me lo ha già detto. Mi ha chiesto pazienza. A me i soldi servono, soprattutto adesso tra bollette e aumento di spese varie tra cui la benzina. Sono arrivato a chiedergli di essere licenziato in modo tale da tamponare questo periodo negativo con la Naspi ma la sua risposta è stata negativa dal momento che dovrebbe, secondo lui, pagare l’Inps per colpa mia se vengo licenziato. Credo sia una cosa falsa, usata da lui come scusa. Se mi dimetto perdo la Naspi giusto? Non so che pesci prendere, voi cosa consigliate? Grazie per la vostra eventuale risposta.”

Naspi con le dimissioni, ecco quando si prendono lo stesso le indennità

L’indennità per disoccupati Inps è una misura che l’Istituto, a determinate condizioni, garantisce a tutti i lavoratori che perdono l’occupazione in maniera non dipendente dalla loro volontà. Un girotondo di parole che non significa altro che nel caso in cui un lavoratore si dimette, non ha diritto alla disoccupazione.

Naspi che invece spetta per licenziamenti, procedure collettive e così via. In un solo caso le dimissioni possono essere utili per godere lo stesso della Naspi ed è il caso delle dimissioni per giusta causa. Infatti quando le dimissioni anche se volontarie da parte del lavoratore, vengono fuori da problematiche che possono portare alla giusta causa il diritto alla Naspi non viene meno.

Il datore di lavoro che licenzia deve pagare il ticket per il dipendente

Problematiche che impediscono la prosecuzione del rapporto di lavoro tra dipendente e datore di lavoro. Sono queste le motivazioni che un lavoratore dipendente può utilizzare per dimettersi per giusta causa. Una soluzione ottimale questa per poter lo stesso andare a percepire il sussidio per disoccupati Inps. Ed è la soluzione che probabilmente va consigliata al nostro lettore. Infatti il datore di lavoro effettivamente se lo licenzia deve versare all’Inps il cosiddetto ticket licenziamento. Sarebbe il corrispettivo dovuto in base all’anzianità di servizio del dipendente, da parte del datore di lavoro all’Inps. Un corrispettivo che finanzia parte della Naspi teoricamente spettante al lavoratore in caso di licenziamento.

Cosa si intende per dimissioni per giusta causa

Non esiste una normativa univoca a cui attingere per stabilire quando le dimissioni possono essere considerate come per giusta causa e quando no. Le norme però si sono via via aggiornate grazie a tutta una serie di pronunce dei giudici che si sono espressi nel dirimere contenziosi tra datore di lavoro e lavoratore o tra lavoratore e Inps. Il mancato pagamento dello stipendio per esempio è una delle motivazioni che può essere utilizzata per dare le dimissioni per giusta causa. Ed è il caso che probabilmente calza a pennello per il nostro lavoratore dipendente che da due mesi ormai non riceve lo stipendio.

Giusta causa di dimissioni sono anche eventuali casi di molestie, peggioramento delle mansioni lavorative, mobbing, trasferimenti di sede lavorativa immotivati, demansionamento o ingiurie.

Cosa fare con la Naspi in caso di dimissioni per giusta causa

Le dimissioni per giusta causa per omesso pagamento dello stipendio al lavoratore, non possono essere certo date alla prima mensilità di stipendio non erogata. In genere l’orientamento degli ermellini dei tribunali va nella direzione di avallare la giusta causa a partire da almeno due mensilità di stipendio non versate al dipendente. Nel momento in cui si presenta la domanda di Naspi, se tutto parte dalle dimissioni per giusta causa, occorre allegare alla domanda una autocertificazione in cui si sottolinea che le dimissioni sono state date per giusta causa. E il lavoratore deve autocertificare la volontà di citare in giudizio, eventualmente, il datore di lavoro per le omissioni di quest’ultimo. Allegare più documenti alla domanda di Naspi favorisce l’approvazione dell’istanza all’Inps. Non essendo una domanda di disoccupazione classica, cioè presentata a seguito di licenziamento, il diretto interessato può aggiungere diversi documenti. Per esempio si possono allegare eventuali missive, mail o solleciti di pagamento che il lavoratore, ipoteticamente, ha inviato al datore di lavoro per vedersi riconoscere gli stipendi arretrati.