Ma la flat tax al 15% voluta da Salvini aiuta davvero i ricchi?

In questi ultimi giorni di campagna elettorale, si sta tanto parlando della cosiddetta flat tax al 15% proposta da Matteo Salvini. Per i partiti di sinistra si tratta di un regime fiscale che agevolerebbe solamente i ricchi. Ma cosa è questa flat tax? Davvero è stata pensata per i soggetti più facoltosi?

La flat tax, sostanzialmente, consiste in un un regime fiscale ad aliquota unica, in questo caso al 15%.

Il sistema attuale di tassazione per le persone fisiche (stiamo parlando dell’IRPEF) prevede delle aliquote progressive, cioè che crescono al crescere del reddito percepito.

In Italia, è bene dirlo, esistono già delle flat tax, come l’IRES o l’imposta sostitutiva che viene pagata dalle piccole partite iva che aderiscono al cosiddetto regime forfettario.

Salvini, sostanzialmente, vorrebbe estendere tale regime anche ai lavoratori dipendenti.

In generale, possiamo dire che rispetto all’attuale IRPEF, l’introduzione di una flat tax agevolerebbe sicuramente i contribuenti più ricchi.

Ad ogni modo, la proposta di Salvini prevede una particolarità che forse è sfuggita ai tanti critici di questa misura. Vediamo meglio di cosa si tratta.

La flat tax al 15% esiste già, Salvini vorrebbe soltanto estenderla

Iniziamo col dire che una flat tax al 15% esista già e, udite udite, è stata voluta proprio dal centro sinistra.

Si tratta del cosiddetto regime forfettario, istituito con la Legge di Bilancio del 2015 dall’allora governo guidato da Matteo Renzi. Il regime forfettario, tutt’ora in vigore, è destinato ad una platea di circa 2 milioni di persone. La Lega vorrebbe soltanto estenderlo anche ai lavoratori dipendenti.

In sintesi, il regime forfetario consente la determinazione forfetaria del reddito da assoggettare a un’unica imposta in sostituzione di quelle ordinariamente previste, nonché di accedere ad un regime contributivo opzionale per le imprese.

I soggetti che aderiscono al regime forfettario, si legge sul sito dell’Agenzia delle entrate, “determinano il reddito imponibile applicando all’ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti il coefficiente di redditività diversificato a seconda del codice ATECO che contraddistingue l’attività esercitata.

Una volta determinato il reddito imponibile, il contribuente applica un’unica imposta, nella misura del 15%, sostitutiva delle imposte sui redditi, delle addizionali regionali e comunali e dell’IRAP”.

Perché le preoccupazioni della sinistra sono infondate?

Soltanto qualche settimana fa, Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, che alle prossime elezioni si presenterà in coalizione del PD, ha sparato a zero sulla flat tax, definendola come “un abominio che aiuta solo i più ricchi”. Con una misura del genere, sempre nelle parole di Fratoianni, “Berlusconi pagherà la stessa percentuale di un cameriere, di un impiegato, di un operaio”. Tuttavia, non è proprio così. La flat tax voluta dalla Lega si applicherebbe soltanto ai redditi più bassi.

Salvini, in una recente intervista ad Agorà, ha dichiarato quanto segue:

“la stessa flat tax funziona per 2 milioni di partite Iva (riferendosi all’istituto del regime agevolato forfettario). Il nostro ragionamento è che siccome funziona la estendiamo ai lavoratori autonomi alzando il tetto dei 65mila a 100mila euro”.

Un sistema che potrebbe essere applicato anche ai lavoratori dipendenti con un reddito lordo annuo inferiore a 50 mila euro, o 70 mila euro se nel nucleo familiare ci sono due redditi da lavoro.

Ovviamente, una simile riforma non è esente da criticità. C’è tutta una questione legata alle coperture finanziarie che di certo non può essere trascurata. Ad ogni modo, è possibile affermare con assoluta certezza che la flat tax non potrà avvantaggiare i ricchi. Con buona pace di Berlusconi.