La pressione fiscale in Italia è alle stelle, si sa. Ma grava in particolare su famiglie e lavoratori, meno sulle imprese. Anche per questo motivo il sistema fiscale italiano ha bisogno di essere ricalibrato e riformato profondamente, come nei piani del governo Conte.

Ministero del Lavoro, parti sociali e imprese hanno già avuto modo di confrontarsi più volte su questo aspetto. Lo scopo dell’esecutivo è quello di alleggerire la pressione fiscale dei contribuenti agendo sugli scaglioni Irpef che dovrebbero passare da cinque a tre.

Così come introdurre una no tax area per i redditi più bassi.

Pressione fiscale eccessiva sui redditi delle famiglie

Le imposte sui redditi di famiglie e individui costituiscono una delle due voci prevalenti delle imposte dirette, essendo l’altra rappresentata dalle imposte sui redditi e sui profitti delle imprese.

Il sistema italiano è fortemente sbilanciato a favore delle imposte sui redditi di individui e famiglie che pesano per il 27,5% delle entrate totali. Mentre quelle sui redditi delle imprese si fermano al 4,6%“.

Lo ha detto Gian Paolo Oneto, Direttore della Direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche economiche dell’Istat, nel corso di un’audizione presso le Commissioni Finanze di Senato e Camera.

Questo sbilanciamento – fa notare l’Istat – è condiviso con la totalità dei Paesi europei (fa eccezione solo Cipro). Ma la differenza di pressione fiscale delle due componenti assume intensità variabili. una differenza superiore a 20 punti percentuali si registra, oltre che in Italia, solo in Danimarca, Finlandia, Svezia e Lettonia.

Il peso delle imposte sui redditi e i profitti di impresa in Italia è il terzo più basso d’Europa, superiore solo a quello che si osserva in Lettonia ed Estonia, mentre nel resto del continente, fatta eccezione per Grecia e Slovenia, questo peso raggiunge e per lo più supera il 6%”.

Le imprese pagano meno tasse

L’attuale sistema tributario e, in particolare, quello di imposizione diretta, presenta diverse criticità.

Innanzitutto – osserva l’Istat – gli elevati livelli di evasione fiscale incidono fortemente e negativamente sull’equità del sistema. E quindi sulla pressione fiscale.

Questa viene compromessa anche dalla progressiva erosione della base imponibile che ha implicato, nel tempo, non solo un carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito, ma anche una spinta a scelte allocative sfavorevoli al processo di crescita economica.

Risulta critica dal punto di vista dell’equità e della trasparenza anche la proliferazione delle spese fiscali. Esse mostrano in alcuni casi effetti regressivi e che, nel caso delle detrazioni e in assenza di imposizione negativa, privano dei benefici contribuenti incapienti che ne avrebbero altrimenti diritto.

L’economia sommersa

Sulla base delle stime Istat più recenti, il complesso dell’economia sommersa valeva nel 2018 circa 192 miliardi. Con un’incidenza del 12,8% sul valore aggiunto prodotto dal sistema economico.

Tale livello – fa notare Oneto – risulta in diminuzione rispetto a quello registrato nel 2017, quando si era osservato un significativo rialzo (con circa 195 miliardi) ed è tornato molto vicino a quello misurato nel 2015. Nell’ultimo triennio l’incidenza sul valore aggiunto totale si è lievemente ridotta (per 0,8 punti percentuali).

La componente del sommerso attribuita alla sotto-dichiarazione del valore aggiunto da parte delle imprese è pari nel 2018 a 95,6 miliardi (era 93,9 nel 2015). Quella riconducibile all’impiego di lavoro dipendente irregolare ammonta a 78,5 miliardi (era 79,7 miliardi tre anni prima).

Da notare  che vi è anche una componente residuale (pari nel 2018 a 17,6 miliardi) che include il valore dei fitti in nero, delle mance e di una quota la cui valutazione è il risultato di processi di stima che non permettono un’identificazione precisa delle sottostanti tipologie di non registrazione o di occultamento dell’attività.