Andare in pensione a 62 anni dal prossimo anno potrebbe diventare un privilegio. Oppure una opportunità riservata a tutti. A meno di tre mesi dalla scadenza di quota 100 (in pensione a 62 anni con 38 di contributi), ancora nulla è stato progettato e l’incertezza è totale.

Il ministro dell’Economia Daniele Franco si è limitato a dire quanto già dichiarato dal premier Draghi: “la riforma delle pensioni sarà oggetto di discussione nella legge di bilancio”. Col rischio che si arrivi all’ultimo momento a soluzioni improvvisate o pasticciate.

Pensione a 62 anni anche dopo quota 100?

I sindacati sono in allerta e così anche i datori di lavoro, ma soprattutto gli osservatori a Bruxelles che tengono l’Italia sotto stretta osservazione. Quota 100 non è stata digerita bene dai tecnocrati europei e un’altra riforma pensioni a debito sarebbe oggetto di frizioni e attriti con il governo.

Al momento sul tavolo delle riforme per il dopo quota 100 ci sono già alcuni progetti, ma nessuno pare soddisfare appieno tutti i lavoratori. Opzione Donna sarà probabilmente prorogata nel 2022, così come Ape Sociale, l’anticipo pensionistico a 63 anni riservato a lavoratori in difficoltà.

Quest’ultimo prevede, almeno nelle intenzioni, l’allargamento della platea dei lavoratori usuranti in modo tale da consentire la pensione anticipata a più categorie finora rimaste escluse. La commissione governativa lavori gravosi ha infatti allargato il perimetro di azione aggiungendo ben altre 27 mansioni usuranti alle 15 già esistenti, fino ad estendere la lista 92 tipologie di lavoro meno usurante.

Ape Sociale per tutti

Sarà poi il Parlamento a decidere chi e come potrà beneficiare dell’uscita anticipata, tenendo conto non solo dell’età anagrafica, ma anche del tipo di lavoro svolto e della sua durata. Logico presupporre che il requisito contributivo non potrà essere uguale per tutti.

In base a questo principio, includendo tutte le categorie di lavoratori, si potrebbe concedere la pensione a 62 anni a molti mantenendosi in linea con quota 100, ma a valere su un diverso requisito contributivo in base all’inquadramento professionale.

Così un minatore potrebbe lasciare il lavoro a 62 anni con soli 30 di contributi (quota 92). Mentre un impiegato a 62 ma con almeno 40 di contributi (quota 102). Ovviamente si tratta solo di un esempio che spiega bene il principio di flessibilità in uscita tanto caro al Inps e che potrebbe accontentare tutti senza grandi stravolgimenti legislativi.

In primis il governo che con Ape Sociale risparmierebbe sulla spesa per le pensioni (tetto massimo della pensione 1.500 euro). Poi i lavoratori che, in base al tipo di lavoro svolto, possono mantenere l’uscita a 62 anni.