La pensione per le future generazioni di lavoratori è un miraggio. Si rischia di lavorare una vita intera con stipendi al di sotto della media Ue per poi scivolare inesorabilmente verso la povertà. Già oggi, nonostante la miriade di interventi assistenziali, abbiamo raggiunto il record di poveri in Italia (1.9 milioni di famiglie).

Per questo il governo Meloni ha di fronte a sé un compito importante, quello di assicurare un futuro degno di questo Paese a figli e nipoti. Attraverso politiche sociali attive, occupazione, salari al passo coi tempi e pensioni dignitose.

Senza obbligare i lavoratori a rivolgersi ai fondi pensione che sono solo macchine mangiasoldi ben oleate dall’alta finanza.

Giovani senza futuro né pensione

Se non saranno fatte le adeguate riforme, il rischio è che l’Italia si trasformi totalmente in un Paese di sussidiati e assistiti. Negli ultimi anni, soprattutto con il governo Conte I e II, abbiamo assistito a un incremento sfrenato dell’assistenzialismo a pioggia. Fra bonus, indennità varie e assegni di ogni tipo, lo Stato ha speso miliardi di euro senza alcun beneficio strutturale generale.

Certo, si è evitato il peggio, soprattutto durante la pandemia, ma non è stato fatto il meglio per il futuro. Così, dal 2008 al 2021 scopriamo che gli interventi assistenziali sono raddoppiati passando da 71 a 141 miliardi di euro con un tasso di crescita del 6% all’anno. Più delle pensioni. Tanto varrebbe puntare tutto sull’assistenzialismo a questo punto.

Di fronte a queste politiche disfattiste, un po’ volute e un po’ imposte dall’Europa, inutile meravigliarsi quando si scopre che molti giovani preferiscono stare seduti sul divano a godersi il reddito di cittadinanza piuttosto che cercarsi un lavoro.

Se lavorare in Italia significa oggi vivere al limite della sussistenza, tanto vale farsi mantenere dallo Stato. Il ragionamento non fa una piega. Si tratta di soldi, di mezzi per vivere, niente di più e niente di meno.

I discorsi finto moralisti lasciamoli ai teatranti televisivi.

E c’è chi scappa

In alternativa si può andare a lavorare e vivere all’estero. Lo fanno i pensionati più facoltosi per non farsi mangiare soldi dal fisco. Ma anche i giovani laureati, soprattutto al Sud, che mollano tutto per andare laddove il lavoro è adeguatamente retribuito e c’è ancora un futuro da pensionati.

In Italia si raschia ormai il fondo del barile fra precariato generalizzato e lavoro subordinato mal pagato. A queste condizioni è difficile farsi una famiglia, immaginare un futuro sereno e in salute. Lo dimostrano i dati, il decremento cronico delle nascite e le rendite sempre più basse di chi va in pensione.

L’Inps pensioni all’estero in tutto il mondo. Nel 2021 le rendite pagate fuori dai confini nazionali sono state oltre 326.000, per un importo complessivo di circa 1.375 milioni di euro. In totale sono il 2,4% delle pensioni erogate dall’Istituto ogni anno. Non poco rispetto ad altri Paesi Ue.

Cosa deve fare il governo con le pensioni

Sicché il compito del governo Meloni è quello di dare una svolta a questo sistema assistenziale distorto e iniquo. L’assistenzialismo, costruito sul debito pubblico, ha raggiunto livelli iperbolici e non va bene. In futuro serviranno sempre più risorse per mantenere la popolazione inattiva e quindi tasse che graveranno sulla collettività con la terribile conseguenza che l’economia soffoca.

La riforma delle pensioni deve tenere essenzialmente conto delle necessità di preservare il benessere dei giovani lavoratori. Non con l’assistenzialismo sfrenato a cui siamo ormai abituati da anni, ma con interventi mirati. E la strada non è certo quella dei fondi pensione, ma quella del taglio dell’assistenza a pioggia per recuperare soldi da dare alle pensioni.

Sull’età pensionabile, invece, inutile girarci intorno: non ci sono più soldi per garantire le pensioni così come abbiamo sempre fatto.

Le uscite anticipate dovrebbero essere consentite, anche a 60 anni, ma con il ricalcolo contributivo, come avviene per Opzione Donna. Non è un obbligo, bensì una opzione, quindi un diritto.

Necessario un taglio all’assistenzialismo

Secondo il decimo rapporto di Itinerari Previdenziali sulla spesa pubblica, l’incidenza percentuale della spesa per welfare sul totale della spesa pubblica e in raffronto al PIL colloca il nostro Paese ai vertici delle classifiche non solo europee, ma addirittura mondiali.

In Europa – dice il rapporto – l’Italia figura al secondo posto insieme all’Austria (33,3%), subito dopo la Francia (35,2%), mentre tra i grandi Paesi siamo secondi alla sola Germania per spesa sociale in percentuale della spesa pubblica totale.

Nel 2021 il costo delle attività assistenziali è ammontato a 144,215 miliardi di euro. Di fronte a questa cifra ci si aspetterebbe – dice Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali – per contro quantomeno una riduzione del numero dei poveri. E, invece, secondo i dati Istat, i cittadini in povertà assoluta sono più che raddoppiati, passando da 2,11 a 5,6 milioni (4,59 nel 2019), mentre quelli in povertà relativa sono saliti da 6,5 a 8,8 milioni.

Quindi, a che serve assistere la popolazione se poi la povertà aumenta? C’è qualcosa che non funziona e prima o poi a pagare il conto saremo tutti. Ma soprattutto lo pagheranno i giovani sui quali ricadrà tutto il peso del debito accumulato dai predecessori.