Fumo passivo sul lavoro, ma quali obblighi ha l’azienda in questi casi e quali responsabilità?

Lo chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4211 del 3 marzo 2016, che conferma il risarcimento del lavoratore per danno biologico e morale. Prima di passare al caso che ha determinato il risarcimento del danno, esaminiamo cosa causa il fumo passivo.

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Fumo passivo sul posto di lavoro

Il fumo passivo è stato classificato come “agente cancerogeno noto per l’uomo” dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti nel 1993, dal Dipartimento della sanità e i servizi sociali degli Stati Uniti nel 2000 e dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS nel 2002.

Recentemente, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente della California ha classificato il fumo di tabacco un “inquinante tossico dell’aria”.

A livello europeo, ad oggi, il fumo passivo non è stato classificato come preparato cancerogeno, in base alla Direttiva sui preparati pericolosi (1999/45/CE).

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Fumo passivo e  valutazione del rischio

Il Datore di Lavoro è tenuto ad assicurare la salubrità degli ambienti di lavoro e a proteggere la salute dei lavoratori prevenendo l’insorgere di patologie da lavoro, quindi la valutazione dei rischi in azienda deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (art. 28, comma 1 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.), compresi quelli che non derivano dai soli processi produttivi (es. presenza di fumo di tabacco).

Le misure di tutela della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in base all’art.15 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i, riguardano innanzitutto:

  • l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
  • la riduzione dei rischi alla fonte;
  • la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono o che possono essere esposti al rischio;
  • la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
  • l’informazione e formazione adeguate per i lavoratori;
  • l’uso di segnali di avvertimento e di sicurezza.

Il fumo passivo è formato da agenti chimici pericolosi e deve essere incluso nella valutazione dei rischi in base al Titolo IX, Capo I del D.

Lgs. 81/2008 e s.m.i. “Protezione da agenti chimici” e in particolare al comma 1, lett. b, punto 3 dell’art 222.

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Lavoratori esposti a fumo passivo

Per escludere la responsabilità del datore di lavoro per danni causati dal fumo passivo sul posto di lavoro sulla salute dei dipendenti, non basta che l’azienda invii circolari e direttive, lo stabilisce la Corte di Cassazione, analizziamo il caso.

Danno biologico

La Corte di Appello di Roma, ha condannato l’azienda perché non aveva posto in essere misure idonee a prevenire la nocività dell’ambiente lavorativo derivante dal fumo, come risultante dalla perizia svolta, che ha confermato la patologia riscontrata dalla lavoratrice sulle condizioni del posto di lavoro. La Corte ha riscontrato un danno biologico pari al 15% condannando l’azienda al risarcimento.

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Fumo passivo e responsabilità dell’azienda

Il ricorso presentato dall’azienda in Cassazione è stato respinto. L’azienda si era solo limitata ad inviare circolari e disposizioni (senza nessuna applicazione), senza adempiere agli obblighi di effettiva sicurezza sul lavoro. La sola emanazione di circolari e direttive, non costituisce una misura idonea a contrastare i rischi da esposizione al fumo passivo, né di conseguenza idonea prova liberatoria ai sensi del citato art. 1218 c.c.