Il fondo TFR presso l’Inps è in riserva e rischia di saltare. Su 36 miliardi di euro versati a partire dal 2007, cioè da quanto è stato istituito, in cassa ci sono oggi appena 1,5 miliardi di euro. Parte del denaro è stato utilizzato per liquidare le spettanze dovute ai trattamenti di fine rapporto, ma il grosso dei capitali è servito per esigenze di finanza pubblica in materia previdenziale.

Poco male, nessuno ha sottratto niente alle casse della Tesoreria dello Stato, però, a conti fatti, potrebbero presto venire a mancare i soldi per liquidare i TFR di quei lavoratori che hanno scelto di lasciare le loro quote in azienda (presso il fondo Inps appunto) anziché destinarle alla previdenza integrativa, dopo la riforma introdotta dal governo Prodi nel 2006.

Il governo ha aperto quindi un dossier per valutare l’ipotesi di costituire presso l’Inps un altro fondo di previdenza complementare pubblico ad integrazione di quello esistente e ormai ad esaurimento.

L’avanzo di gestione si è assottigliato a 1,5 miliardi

Il disavanzo del Fondo TFR attuale potrebbe presto diventare un problema con l’esaurimento dei capitali in cassa. La differenza fra entrate (costituite dai versamenti dei datori di lavoro privati del TFR dei dipendenti) e le uscite (le prestazioni pagate dal fondo) è infatti oggi amplificata a favore di queste ultime a causa dell’incremento dei pensionamenti in deroga alla legge Fornero. Quota 100 e opzione donna hanno infatti dato una spallata alle già carenti risorse del fondo Tfr gestito dall’Inps. L’avanzo di bilancio che era superiore ai 5 miliardi di euro nel 2007 quando sono iniziati i versamenti si assottigliato oggi a 1,5 miliardi dimezzandosi negli ultimi cinque anni. Di questo passo è evidente che nel giro di qualche anno si andrà in rosso e non ci saranno più soldi per pagare i Tfr.

I lavoratori interessati al Tfr presso l’Inps

Ma quali sono in concreto i rischi per le imprese e i lavoratori? Non c’è dubbio che il fondo TFR è in via di esaurimento e, a meno di un intervento pubblico, il rischio è che già nel prossimi anni i lavoratori che andranno in pensione rischiano di dover attendere il trattamento di fine rapporto.

I lavoratori interessati sarebbero quelli appartenenti alle aziende con più di 50 dipendenti che a suo tempo avevano optato per la destinazione della quota all’Inps anziché nei fondi comuni d’investimento previsti dalla riforma per la “pensione integrativa” (riforma Damiano).

3,3 milioni di lavoratori interessati

Alla fine dello scorso anno i lavoratori che versavano le quote di TFR presso l’Inps erano circa 3,3 milioni (1,8 milioni di uomini e 1,3 milioni di donne) che contribuivano con 231 euro mensili in media ciascuno ad alimentare il Fondo. Un accantonamento annuale che corrisponde al 6,9% della retribuzione previdenziale utile ai fini del calcolo del Tfr con una rivalutazione annua del 1,5% maggiorata del 75% del tasso d’inflazione Istat per le famiglie di operai e impiegati. Una rivalutazione minima che fino a pochi anni fa era inferiore ai tassi offerti dai fondi negoziali alternativi a quello dell’Inps.

Verso la formazione di un altro fondo Inps complementare

Lo squilibrio attuale non sembra destinato a rientrare da solo senza un intervento statale (trasferimenti). Il governo sta studiando l’ipotesi di attivare un Fondo di previdenza complementare pubblico presso l’Inps per evitare il crac fra qualche ano anche in virtù del fatto che con la manovra finanziaria per il 2020 si voglia agevolare ulteriormente i pensionamenti anticipati. Certo è che la gestione di tali fondi presso la Tesoreria dello Stato sì è rivelata fallimentare dal punto di vista tecnico. E l’errore rischia di ripetersi.