Aumentano gli iscritti ai fondi pensione, ma i rendimenti sono in calo. Tutti coloro che, dunque, hanno affidato i loro risparmi ai fondi di categoria sperando da una parte di proteggere il capitale e dall’altra di guadagnarci qualcosa in più, stanno tremando. Non solo, infatti, sembra non esserci più alcun guadagno degno di nota, ma in alcuni casi si stanno registrando addirittura delle nette perdite. I numeri di coloro che aderiscono a fondi di vario genere per assicurarsi una pensione complementare però restano in crescita.

Nel primo semestre 2022 le posizioni attive presso le forme pensionistiche complementari hanno superato quota 10 milioni, in crescita del 2,9 per cento rispetto alla fine del 2021.

Un dato che fa sorridere i gestori. Un po’ meno gli assicurati alla previdenza complementare che hanno visto i loro rendimenti crollare del 8,3% per i fondi pensione negoziali e del 9,7% per quelli aperti. Mentre nei PIP di ramo III sono scesi del 10,3%.

I redimenti dei fondi pensione negli ultimi 10 anni

Valutando i rendimenti su un orizzonte temporale decennale salta fuori che il rendimento medio annuo composto è stato pari 3,1% per i fondi pensione negoziali, 3,4% per i fondi aperti e 3,7% per cento per i PIP di ramo III. Contro una rivalutazione del TFR nello stesso periodo del 2,2%.

Quindi un divario che a prima vista premia le gestioni dei fondi pensione, ma da una analisi approfondita non è così. La differenza positiva è erosa dai costi di gestione, dalle commissioni e dalle imposte al momento del riscatto. Al punto che la convenienza a investire nei fondi non c’è nemmeno nel lungo periodo.

Questo non significa che la pensione integrativa sia sbagliata, ma che non è l’unica strada. Essendo l’andamento dei fondi pensione legato a quello dei mercati, può capitare che il momento in cui si inizia a versare la quota di Tfr non sia propizio.

Al punto che a volte conviene tenersi stretto il Tfr piuttosto che conferirlo ai fondi.

Costi e commissioni dei fondi pensione

Come detto i fondi pensione, benché godano di vantaggi fiscali sui versamenti periodici (deducibilità fino a 5.164 euro dall’imponibile Irpef), sono gravati da costi di gestione che pochissimi conoscono, ma comunque trasparenti e consultabili sul sito della Covip.

Ovviamente dipende dal tipo di fondo pensione a cui si aderisce per il quale ogni gestore stabilisce un proprio tariffario che può variare negli anni, durante il periodo dei versamenti dei contributi da parte del lavoratore. Costi che sono sempre resi noti e che incidono sul rendimento e sulla rendita finale.

Si va dalle spese di sottoscrizione una tantum a quelle annuali durante la fase di accumulo che sono in misura fissa e prelevate direttamente dalla contribuzione periodica. Ci sono poi le spese in misura variabile (dal 1 al 2 per cento del patrimonio), sempre su base annuale prelevate indirettamente dall’aderente al fondo pensione.

Vi sono poi altri balzelli, in misura fissa, che scattano al momento dell’anticipazione, del trasferimento o riscatto della posizione individuale. Per non parlare dei costi mensili (penali) sulla rendita integrativa temporanea anticipata (RITA).

In definitiva, se prendiamo a riferimento l’investimento in fondi pensione a 10 anni, i costi di gestione, come da indicazione sintetica (ICT), pesano per una percentuale che va dal 1,3 al 1,9 per cento.

Quindi lo scarto fra rendimento dei fondi e Tfr si azzera. La differenza ricade, quindi, tutta sul rischio che si corre lasciando il Tfr in azienda piuttosto che nei fondi pensione. Questi possono subire perdite anche pesanti qualora i mercati andassero male. Cosa che non succede col Tfr che è sempre rivalutato in base all’inflazione.

Le tasse sulla pensione integrativa

Infine, ci sono anche le tasse da considerare. Capitolo sovente spinoso e che pochi considerano se non al momento del riscatto della posizione accumulata nel fondo pensione scelto.

Pochi lavoratori sanno come funziona il sistema di tassazione sui fondi pensione. Ma soprattutto quali sono i vantaggi o gli svantaggi rispetto alle rendite pubbliche gestite dall’Inps.

Andiamo con ordine. Le tasse che si pagano sui fondi pensione, e di conseguenza sulla pensione integrativa, sono di due tipi. Una sta alla base, cioè ricade sugli accumuli e sui guadagni che il fondo pensione realizza fino al momento del riscatto. Si paga il 20% sui realizzi, detto anche capital gain.

Vi sono poi le tasse sulla rendita determinata. Cioè sull’assegno periodico che il fondo riconosce al momento della maturazione dei requisiti per la pensione integrativa. L’aliquota è pari al 15% e si riduce dello 0,3% per ogni anno di partecipazione al fondo pensione dopo il 15 esimo anno, con uno sconto massimo del 6%. Quindi, se un lavoratore versa contributi per 35 anni beneficerà di una aliquota ridotta al 9%.