La previdenza complementare non è esente da rischi e i fondi pensione investono il denaro dei lavoratori come fanno i più comuni fondi di investimento. In questo non c’è alcuna differenza. Se non che vi si attribuisca l’etichetta di “fondo pensione” allo scopo di attirare più clienti possibili verso le varie gestioni finanziarie di banche e assicurazioni.

Come abbiamo visto, i rischi insiti nei fondi pensione ci sono e possono essere anche elevati. Lo scorso anno, a causa del ritorno dirompente dell’inflazione, i rendimenti sono crollati mediamente del 10% mandando in fumo anni di accumulo di interessi.

Non tutti però l’hanno capito e hanno perso soldi nella stessa percentuale. Ma nessuno ci ha guadagnato negli ultimi periodi rispetto a quanto offerto dalla rivalutazione del Tfr.

I comparti dei fondi pensione, cosa c’è da sapere

Più nello specifico, quello che c’è da sapere è che i fondi pensione offrono ai lavoratori diverse tipologie di investimento che ben si adattano al profilo di rischio, all’orizzonte temporale e agli obiettivi personali del lavoratore in previsione di farsi una pensione integrativa. In questo senso c’è ampia possibilità di scelta, ma non sempre è vagliata correttamente.

Spesso i lavoratori si trovano quindi a dover decidere dove indirizzare le quote del proprio Tfr e il contributo del datore di lavoro nel fondo pensione di categoria. Esistono a tal fine diversi comparti, così come previsto dalla Covip, che vanno dagli fondi azionari, ai bilanciati, obbligazionari (puri e misti) e garantiti.

Il rischio è maggiore per i fondi pensione azionari, composti dal 50% di azioni e 50% di obbligazioni e titoli di stato, e minore per quelli garantiti. In mezzo ci sono tutte le altre tipologie che prevedono investimenti in azioni e obbligazioni in diverse percentuali. In tutti i casi, però, non vi è garanzia assoluta di ritorno di rendimento o ritorno del capitale.

Il comparto garantito

Anche per il comparto garantito, benché lo si definisca tale, non vi è certezza matematica di rendimento o assenza di rischio. Questa linea d’investimento, prevista per tutti i fondi pensione di categoria, prevede sostanzialmente l’investimento in obbligazioni e titoli di stato di durata massima quinquennale il cui rating è “investment grade”, cioè elevato. Solo una piccola parte dei soldi (5%) è investita in azioni.

In caso di crisi finanziarie, il capitale è garantito. Ma non nel senso che vi è una garanzia reale da parte della società che gestisce i soldi dei lavoratori, bensì nel senso che, data la tipologia di investimento, è difficile che il capitale subisca perdite. Ma non impossibile.

A fronte di tali “garanzie” il lavoratore rischia di non ottenere un rendimento tale da soddisfare le proprie attese per quando andrà in pensione. Al di là dell’andamento dei mercati finanziari, il rendimento è talmente basso che, al netto di commissioni e costi di gestione, si rischia di subire una erosione del potere di acquisto nel tempo.

Quest’anno, ad esempio, nei primi sei mesi del 2023, le linee di investimento garantite dei fondi pensione hanno reso zero. Ci si domanda quindi, se vale la pena destinare il proprio Tfr a questo tipo di comparto e non sia meglio tenersi stretto il trattamento di fine rapporto. Alla fine si rischia solo di fare gli interessi dei gestori e non quelli dei lavoratori.

Riassumendo…

  • I rendimenti dei fondi pensione dipendono dalla scelta di investimento dei lavoratori.
  • I comparti offerti vanno dagli azionari (più rischiosi) ai garantiti (meno rischiosi).
  • I rendimenti dei fondi pensione garantiti sono molto bassi, quasi nulli.
  • La propensione al rischio alta non giustifica la scelta di affidare soldi ai fondi pensione.