In materia pensionistica c’è la nuova versione di Opzione donna. Anche se si parla di proroga della misura, parlare di nuova versione non è esercizio azzardato dal momento che la misura è stata profondamente modificata nella sua struttura dal nuovo Governo. A cambiare per esempio è l’età di uscita della misura. Ma è cambiata anche la platea di riferimento che dalla generalità delle lavoratrici adesso è diventata solo di una determinata parte di esse. La proroga così come è stata varata, soprattutto nella parte che ha differenziato l’età di uscita in base ai figli avuti, è stata duramente criticata.

E probabilmente c’è stata una erronea comunicazione da parte della politica, visto che si poteva benissimo parlare di proroga di Opzione donna a 60 anni di età e non di proroga secca di Opzione donna.

Resta il fatto che con Opzione donna nel 2023 la maggior parte delle lavoratrici potranno uscire a 60 anni di età e non a 58 come fino al 31 dicembre 2022.

“Buonasera, sono una lavoratrice dipendente che a novembre 2023 compirà 60 anni di età. Sono single e non ho mai avuto figli. Volevo capire come potrò andare in pensione con Opzione donna, perché questo è il mio obiettivo finale con la proroga della misura che a quanto pare è piena di limitazioni. Da dieci anni ormai lavoro per una grande catena di supermercati al box informazioni. Prima ho fatto l’operaia in una fabbrica di vestiti. Nel 2023 completerò i 35 anni di età utili a Opzione donna, potrò andare in pensione?”

Opzione donna 2023, perché si rischia di generare confusione?

Il quesito della nostra lettrice sta proprio lì a dimostrare come le informazioni che il Governo Meloni ha prodotto nel pacchetto previdenziale della Legge di Bilancio non sempre sono felici nella loro interpretazione. E Opzione donna, tra figli avuti, platee limitate delle aventi diritto ed età di uscita, la confusione regna sovrana.
La nostra lettrice che dice di completare i 35 anni di contributi nel 2023 è già fuori strada. Infatti stando a quanto si evince dal testo della Manovra finanziaria, sia i contributi che l’età di uscita minima prevista devono essere completati entro il 31 dicembre del 2022. Questo significa che la nostra lettrice che completerà i 35 anni di contributi solo nel 2023, non potrà in nessun caso accedere alla misura. Ma bisogna spiegare a lei, come ad altre potenziali interessate, il funzionamento di una misura che è abbastanza particolare. La proroga di Opzione donna prevede però che l’età di uscita salga da 58 a 60 anni di età. E allo stesso tempo vengono introdotte delle limitazioni di platea piuttosto marcate.

La nuova opzione donna e perché a 60 anni l’uscita non è per tutte

Opzione donna nel 2023, con la sopraggiunta proroga, consente uscite differenti in base ai figli avuti. Uscite che vanno da 58 anni per chi ha avuto due o più figli, a 59 anni per chi ha avuto un solo figlio, o a 60 anni per chi non ne ha mai avuti. Differenze che sono un modo per aggirare la realtà dei fatti che è quella che la misura è salita a 60 anni di età. Fino al 31 dicembre 2022 infatti, Opzione donna consentiva di lasciare il lavoro da 58 anni per le lavoratrici dipendenti e da 59 anni per le lavoratrici autonome. Se parliamo delle differenze sui figli, la comunicazione doveva essere Opzione donna con 60 anni di età nel 2023, e con sconti di 12 mesi ogni figlio avuto fino a un massimo di 24 mesi. Questo, per esempio, è ciò che si fa per l’Ape sociale, dove le donne hanno questo genere di vantaggio sui requisiti da centrare.

La platea delle aventi diritto

Sempre il quesito della nostra lettrice, che crediamo sia comunissimo a molte lavoratrici, presenta un altro errore di fondo. Infatti parlare di lasciare il lavoro a prescindere da altri vincoli con l’attuale Opzione donna non è possibile.
La nostra lettrice che ci dice di svolgere il lavoro di addetta al box informazione di un centro commerciale, potrebbe non aver capito alcune cose. Per esempio, che ci sono dei vincoli precisi di platea. Oltre ai contributi versati e all’età, serve altro. Serve anche che la lavoratrice sia disabile con almeno il 74% di invalidità certificata dalla Commissione Medica per le Invalidità Civili delle ASL.
Oppure che sia una donna che ha a che fare con l’assistenza di un parente disabile. In questo caso si parla di caregiver, cioè di chi ha un parente stretto e convivente a cui prestare assistenza perché invalido al 74% almeno. O, ancora, disoccupate, o che sono in servizio presso aziende che hanno avviato procedure di rimodulazione delle crisi aziendali. Chi non rientra tra queste categorie di lavoratrici non potrà in nessun caso accedere ad Opzione donna.