Non solo salario minimo, c’è anche la pensione minima dei piani economici della Ue. A differenza del salario minimo che alcuni Paesi ancora non hanno, la pensione minima esiste dappertutto con svariate regole.

In Italia la pensione minima è rappresentata dall’assegno sociale che vale 468 euro al mese. Ma anche, per chi ne ha diritto, dalla pensione integrata al trattamento minimo che è pari a 524 euro al mese.

Una pensione minima europea

Cifre che sono più o meno in linea con gli altri Paesi Ue, ma che rappresentano un divario.

A parità di costo della vita, l’Italia risulta più penalizzata di Francia e Germania laddove il potere di acquisto dei pensionati è superiore.

Ma il punto non è solo il quantum della pensione minima che dovrebbe trovare una quadra per tutti. E’ soprattutto l’età pensionabile che crea profonde disuguaglianze e ingiustizie sociali. E da 10 anni, dopo la riforma Fornero, i lavoratori italiani ne sanno qualcosa.

In media i cittadini europei vanno in pensione a 63 anni e mezzo, mese più mese meno. In Italia siamo poco sotto questa soglia: da noi si è finora andati in pensione mediamente a 62,9 anni di età, ma solo grazie alle numerose deroghe alla legge Fornero.

Se si considerano solo i requisiti ordinari previsti dal nostro ordinamento, salta fuori che si esce dal lavoro a 67 anni o poco sotto anche optando per il solo requisito minimo contributivo (41-41 anni e 10 mesi).

Obiettivo ridurre le diseguaglianze

Lo scopo della pensione minima europea, come quello del salario minimo, è quello di ridurre le diseguaglianze sociali. Nel nostro Paese oltretutto, sono più marcate che altrove perché si pagano anche pensioni d’oro e d’argento che all’estero non esistono.

In pratica il retaggio del passato e il sistema di calcolo delle rendite determina, attraverso il pagamento delle pensioni, sacche di povertà e situazioni di ingiusto arricchimento a scapito delle generazioni future.

In questo senso l’Italia avrebbe più da perdere dall’introduzione di un sistema di livellamento della pensione minima. Perché le risorse non ci sono e andrebbero finanziate prelevando da chi percepisce assegni elevati. Come anche è già stato tentato di fare con il contributo di solidarietà.