La legge stabilisce che una lavoratrice non può essere licenziata dall’inizio della gravidanza al compimento di un anno di età del bambino.

Il licenziamento di una donna in gravidanza o neomamma, è giustificato soltanto se interviene per giusta causa collegata ad una colpa grave della lavoratrice.

A stabilirlo una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, la numero 2004 del 2017.

Lavoratrice madre e divieto di licenziamento.

Per chi da poco è diventato genitore esiste un periodo protetto che tutela dal licenziamento per impedire all’azienda di approfittare di un momento delicato.

La legge stabilisce il divieto per la lavoratrice madre dall’inizio della gravidanza al compimento dell’anno di vita del bambino e del papà che fruisce del congedo di paternità per la durata del congedo e fino al compimento di un anno di vita del bambino.

Se l’azienda, nonostante il divieto, procede con il licenziamento esso sarebbe nullo e il dipendente dovrebbe essere reintegrato.

Quali eccezioni al divieto di licenziamento?

Laddove esiste la legge, però, esistono anche le eccezioni. Anche in questo caso, infatti, è possibile procedere al licenziamento qualora la mamma lavoratrice si sia macchiata di una colpa grave. Per colpa grave si intende un comportamento che non permette la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Una lavoratrice madre, secondo la sentenza in oggetto della Cassazione, può essere licenziata soltanto per giusta causa accompagnata da colpa grave e non per giustificato motivo oggettivo.

«Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante, quando ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, essendo invece necessario – in conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte costituzionale – verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d’inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto» spiega la Cassazione.

Il licenziamento, quindi, è valido solo quando la violazione disciplinare commessa dalla dipendente sia talmente grave da giustificare l’esclusione del divieto di licenziamento poichè il rapporto di lavoro non può protarsi oltre.