Sale del 2,3% il tasso di capitalizzazione dei contributi pensione dei lavoratori. Il montante contributivo aumenterà in base ai dati periodici certificati dall’Istat e di conseguenza la pensione che sarà liquidata crescerà. Un po’ come avviene per i soldi depositati su un libretto di risparmio o in un conto deposito titoli, con la differenza che gli interessi sono calcolati in maniera diversa.

Per chi non lo sapesse, il montante contributivo, cioè i versamenti periodici dei contributi accumulati nel tempo, sono soggetti a rivalutazione annuale.

In gergo si parla di tasso di capitalizzazione ed è molto importante conoscerlo per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 e ricade nel sistema di calcolo contributivo della pensione. Giusto per sapere quanto rendono i contributi obbligatori versati da lavoratori e datori di lavoro.

Tasso di rivalutazione dei contributi e pensione

Posto che il montante contributivo è soggetto a rivalutazione periodica, vediamo come e di quanto aumenta nel tempo. La riforma Dini del 1995 ha stabilito che i contributi sono soggetti a rivalutazione annuale in base all’andamento del Pil dell’Italia. Più esattamente, in base alla media quinquennale della crescita economica del nostro Paese.

Ogni anno l’Istat determina questo valore in percentuale, chiamato appunto il tasso di capitalizzazione. Per il 2023 questo valore è risultato pari a 0,023082 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione è pari a 1,023082. Detto tasso è utile per rivalutare il montante contributivo acquisito fino al 31 dicembre 2022 per i lavoratori che andranno in pensione nel 2024.

Si ricorda che, per legge, la rivalutazione non opera sui contributi versati nell’anno precedente la decorrenza della pensione (quindi nel 2023) né per quello di pensionamento (2024). Per fare un esempio pratico, la pensione di un lavoratore che uscirà nel 2024 sarà calcolata su un montante contributivo che al 31 dicembre 2022 varrà il 2,3% in più rispetto al 2021.

Come si calcola la pensione

Il tasso di rivalutazione, come dicevamo, è tanto più importante quanto più la pensione del lavoratore è calcolata con il sistema contributivo.

E’ meno importante per chi ha meno di 18 anni di contributi prima del 1995 e ricade nel sistema di calcolo misto. Nullo, infine, per chi ha più di 18 anni di contributi prima di questa data e ricade nel sistema retributivo.

Pertanto, per un lavoratore contributivo non è difficile conoscere l’ammontare della sua rendita prevista nel 2024. Basta prendere il montante contributivo, rivalutarlo in base all’ultimo dato sul tasso di capitalizzazione e applicare il relativo coefficiente di trasformazione della pensione abbinato all’età anagrafica.

E’ un fatto evidente che i contributi, da quando è stato introdotto l’euro, si sono rivalutati meno rispetto a quanto previsto dai tassi di sconto della Bce. La stagnazione economica in Italia ha infatti prodotto scarsi apprezzamenti sul montante contributivo in relazione all’inflazione. Il che ha eroso il potere di acquisto dei pensionati ancor prima che possano ottenere l’agognata rendita.

Volendo fare un esempio, un montane contributivo pari a 100.000 euro sarà rivalutato al 31 dicembre 2023 del 2,3% come certificato dall’Istat. Il tasso d’inflazione, però, alla stessa data è risultato pari al 8,1%. Di conseguenza c’è un gap che penalizza il pensionato.

Detto in altri termini, se i contributi fossero stati versati in banca e investiti in titoli di Stato anziché all’Inps, quanto avrebbero reso? Sicuramente più del 2,3%.

Riassumendo…

  • Aumenta il valore del montante contributivo per chi va in pensione nel 2024.
  • Il tasso di rivalutazione è stato determinato in +2,3% al 31 dicembre 2023.
  • Il calcolo scaturisce dall’andamento del Pil e non in base all’inflazione.