Il contratto di espansione non è stato rinnovato dal governo Meloni. Lo strumento principe, riservato alle imprese con almeno 50 dipendenti che consentiva di mandare in pensione anticipata il personale a 5 anni dalla maturazione dei requisiti ordinari o contributivi, è arrivato a fine corsa e non è stato rinnovato per il 2024.

Un bel problema per molti lavoratori del settore privato. Lo scivolo pensionistico consentiva, ai dipendenti di sfruttare gli incentivi aziendali all’esodo fino a 5 anni prima della pensione. Con costi a carico dell’azienda ma anche dello Stato.

Il datore di lavoro corrispondeva, infatti, al lavoratore un assegno pari a quello della pensione fino al raggiungimento dei requisiti necessari. Mentre lo Stato riconosceva allo stesso la Naspi dal giorno dopo il licenziamento fino a esaurimento della stessa.

Fine dei contratti di espansione

Il contratto di espansione, introdotto per la prima volta nel 2019 col decreto Crescita, è stato più volte rinnovato fino a quest’anno. Da oggi però non esiste più e i lavoratori del settore privato prossimi alla pensione dovranno fare affidamento ad altre soluzioni per anticipare la pensione, ammesso che ne abbiano i requisiti.

La misura era stata inizialmente approvata fino alla fine del 2025, ma poi fu stralciata dal testo della legge finale e così è decaduta automaticamente con la fine del 2023. Da quest’anno, quindi, non ci sarà più la possibilità di stipulare accordi fra le aziende e il governo per mandare in pensione i lavoratori fino a 5 anni prima in cambio di nuove assunzioni e riorganizzazione aziendale.

Cosa resta quindi per i lavoratori che da quest’anno non possono più beneficiare dei contratti di espansione? In base alla normativa vigente restano a disposizione per il 2024

  • l’isopensione;
  • l’assegno straordinario dei fondi di solidarietà bilaterali;
  • l’Ape sociale, riservata solo ad alcune categorie di lavoratori svantaggiati.

Le alternative possibili

Fra le strade percorribili troviamo l’isopensione.

Si tratta di un istituto che consente ai lavoratori prossimi alla pensione di lasciare il posto di lavoro e percepire un reddito sostitutivo della pensione, fino a 7 anni prima dell’età per il pensionamento ordinario o anticipato.

L‘isopensione è una misura volontaria per i lavoratori e richiede l’accordo di entrambi, il lavoratore e il datore di lavoro con almeno 15 dipendenti. Se un’azienda vuole implementare l’isopensione, deve prima raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali pertinenti. Una volta che l’accordo è in atto, il datore di lavoro pagherà al lavoratore un assegno di isopensione per un periodo di tempo. La durata dell’assegno di isopensione dipende da una serie di fattori, tra cui l’età del lavoratore, la sua anzianità e il tipo di contratto che ha.

L’assegno straordinario di solidarietà è, invece, una prestazione economica erogata dai fondi di solidarietà bilaterali riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, al lavoratore che raggiunge i requisiti per il pensionamento di vecchiaia (67 anni) o anticipato (42 anni e 10 mesi di contributi gli uomini; 41 anni e 10 mesi di contributi le donne) entro i successivi 5 anni dalla risoluzione del rapporto di lavoro. Si tratta di uno scivolo pagato dall’Inps per conto dei fondi bilaterali e interessa soprattutto i dipendenti del settore credito.

Vi è infine l’Ape Sociale, prestazione simile alla pensione che prevede da quest’anno l’uscita a 63 anni e 5 mesi con almeno 30 anni di contributi. A patto che si appartenga a una delle seguenti categorie di lavoratori svantaggiati: cargegiver, invalidi civili al 74%, licenziati, disoccupati o lavoratori gravosi. In questo ultimo caso i requisiti contributivi sono di 36 anni.

Riassumendo…

  • Con la fine dei contratti di espansione terminano le agevolazioni per le pensioni anticipate.
  • Per i dipendenti del settore privato resta l’isopensione, l’assegno straordinario di solidarietà e Ape Sociale.
  • Per andare in pensione con Ape Sociale da quest’anno servono 63 anni e 5 mesi di età.