In pensione con 57 anni di età e 35 di contributi? E’ ancora possibile. Per chi ha ottenuto la prosecuzione alla contribuzione volontaria prima del 20 luglio 2007, la pensione di anzianità resta un diritto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 7090 del 20 marzo 2020 con la quale ha posto fine a una diatriba fra l’Inps e una lavoratrice durata quasi 12 anni e che ora apre potenzialmente le porte a tanti aventi diritto al pensionamento anticipato con le vecchie regole della riforma Dini del 1995 sulle pensioni di anzianità.

In pensione con 57 anni di età e 35 di contributi

In buona sostanza, i giudici della Suprema Corte hanno accertato che, in base alla normativa, i lavoratori che prima dell’entrata in vigore della legge di riforma delle pensioni di anzianità (legge numero 247 del 2007) avevano ottenuto dall’Inps o altro ente previdenziale l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria dei versamenti contributivi, potevano andare in pensione coi vecchi requisiti. Vale a dire con 57 anni di età (58 per i lavoratori autonomi) e 35 anni di contributi versati. Tale requisito doveva però essere già in possesso del lavoratore prima dell’entrata in vigore della legge di riforma delle pensioni del 2008, cioè entro il 20 luglio 2007.

L’interpretazione normativa

Nel caso in specie, l’Inps aveva riconosciuto la pensione di anzianità alla ricorrente solo con decorrenza dal primo gennaio 2010, ritenendo che dovesse applicarsi nel caso l’innalzamento dell’età pensionabile stabilito dall’aggiornamento della tabella di cui alla legge n. 247 del 2007 di cui sopra. Più specificatamente, secondo l’Inps la norma speciale limiterebbe i suoi effetti ai procedimenti di contribuzione volontaria in itinere alla data del 20 luglio 2007. Pertanto la ricorrente avrebbe perso il diritto ad andare in pensione prima, il primo gennaio 2009, cioè alla data di maturazione dei requisiti previsti, perdendo in tal modo 12 mesi di trattamento pensionistico. Ma secondo i giudici, tale interpretazione restrittiva è infondata in quanto la legge –si legge nella sentenza – “non richiede la sussistenza di altre condizioni, ulteriori rispetto a quella dell’intervenuta autorizzazione alla prosecuzione volontaria in data anteriore al 20 luglio 2007“.

La prosecuzione volontaria dei versamenti contributivi

Secondo la legge numero 47 del 1983, il lavoratore che ha cessato o interrotto l’attività lavorativa può accedere al versamento volontario dei contributi per perfezionare i requisiti di assicurazione e di contribuzione per raggiungere il diritto alla pensione e per incrementare l’importo del trattamento pensionistico, se sono già stati perfezionati i requisiti contributivi richiesti. I contributi volontari sono utili per il perfezionamento del diritto e per la determinazione di tutte le pensioni dirette (vecchiaia, anzianità, assegno ordinario di invalidità e inabilità) e indirette (superstiti e reversibilità). Il rilascio dell’autorizzazione ai versamenti volontari è subordinato alla cessazione o all’interruzione del rapporto di lavoro che ha dato origine all’obbligo assicurativo. L’autorizzazione concessa non decade mai e i versamenti volontari, anche se interrotti, possono essere ripresi in qualsiasi momento senza dover presentare una nuova domanda.