“Esterovestizione”. Parola complessa che, forse, non mostra di per sé l’evidenza del fenomeno al quale fa riferimento. Più semplice sarebbe inquadrare il tutto sotto la dicitura di “trucco delle targhe estere”.

Uno stratagemma utilizzato per evitare di fare i conti con la mannaia del fisco sulle auto di proprietà. Ma che, di fatto, è espressamente vietata dal Codice della Strada. Almeno nei termini in cui i furbetti interpretano la possibilità di guidare veicoli immatricolati all’estero a determinate condizioni. Per la verità, la condizione è solo una: la presenza sul territorio italiano per un periodo di tempo breve, magari per una visita turistica, comunque inferiore ai 60 giorni.

Superata tale soglia, mettersi al volante di un veicolo immatricolato all’estero significherebbe violare l’articolo 93 del Codice stradale che, per l’appunto, vieta agli automobilisti residenti in Italia da più di due mesi di guidare auto con targhe estere. Un divieto esplicito che, in alcuni frangenti, è stato ritenuto eludibile da alcuni contribuenti particolarmente refrattari al già poco gradito Bollo auto.

Il punto è che, per quanto il fenomeno dei furbetti delle targhe estere possa essere diffuso, gli accorgimenti normativi introdotti hanno fortemente limitato l’efficacia della pratica illecita. In primis perché già prima delle modifiche apposite il quadro disciplinare in materia poneva una forte restrizione sull’esterovestizione. Anche e soprattutto per la presenza tutto sommato contenuta di auto con targhe straniere sul territorio italiano. Il che, in modo abbastanza evidente, consentiva al fisco un controllo più semplice e più efficace. Tuttavia, negli anni scorsi, il fenomeno si è intensificato in modo tale da rendere necessarie normative più stringenti, entrate in vigore a inizio 2019.

Bollo auto, il trucco dell’esterovestizione: il caso che ne dimostra l’inefficacia

Nei giorni scorsi, la Polizia locale di Castelfidardo, in provincia di Ancona, ha messo sotto controllo ben 12 veicoli immatricolati con targhe estere di varie nazionalità, tra le quali bulgara, albanese, tedesca, romena e non solo.

Una procedura necessaria dal momento che, oltre a possibili irregolarità per quel che riguarda i pagamenti del Bollo auto, la pratica dell’esterovestizione rende complessa la comminazione di sanzioni e verbali. E questo proprio in virtù dell’immatricolazione estera. In tutti i casi in oggetto, a ogni modo, è stata riscontrata una procedura irregolare. Con applicazione delle misure previste, dalla sanzione della cessazione cautelare della circolazione alla confisca amministrativa del mezzo. Quest’ultimo provvedimento, da applicare qualora l’immatricolazione con targhe italiane non venga espletata entro 30 giorni. La sanzione amministrativa preista oscilla tra un minimo di 400 e un massimo di 800 euro.

Per la verità, la normativa generale prevede sanzioni anche più pesanti. Quelle amministrative per i trasgressori possono toccare picchi di 2.848 euro. La messa in regola sarà concessa su un range più esteso (180 giorni) ma con il fermo del veicolo in deposito. È chiaro che, se un’auto immatricolata all’estero risulta, in quanto tale, di per sé “invisibile” al fisco, l’applicazione di un controllo mirato farebbe emergere piuttosto facilmente le eventuali irregolarità. Anche perché, se nella maggior parte dei Paesi europei la circolazione di auto con targhe estere è consentita per un periodo di tempo maggiore, i tempi esigui concessi dalla normativa italiana impongono una messa in regola decisamente più celere. E, di conseguenza, i controlli più rapidi.

Riassumendo

  • L’esterovestizione delle targhe automobilistiche come stratagemma per eludere il Bollo auto è espressamente vietata dall’articolo 93 del Codice della Strada;
  • la possibilità di guidare sul territorio italiano con auto targate all’estero è consentita per un massimo di 60 giorni;
  • eventuali irregolarità saranno sanzionate sul piano amministrativo, con applicazione di multe e possibilità di fermo del veicolo.