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Oggi: 10 Dic, 2025

L’Europa è debolissima come dice Trump? Ecco come investire nel 2026

Se l'Europa fosse realmente così debole come sostiene il presidente americano Donald Trump, ecco come investire nel 2026.
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Investire nel 2026 con un'Europa sempre più debole
Investire nel 2026 con un'Europa sempre più debole © Licenza Creative Commons

Siamo al termine di un lungo ciclo geopolitico iniziato nel 1945 con la fine della Seconda Guerra Mondiale e che ha visto Stati Uniti ed Europa (prima occidentale e poi sostanzialmente tutta dopo la caduta del muro di Berlino) alleati strategici e apparentemente inossidabili. Le ultime dichiarazioni del presidente Donald Trump hanno seppellito anche ufficialmente questa realtà che ormai si era andata sgretolata da tempo. “L’Europa è debole” ha tuonato nell’intervista rilasciata ieri a Politico. “Parla tanto, ma non produce fatti”, ha aggiunto in relazione alla guerra tra Russia e Ucraina. La reazione dell’Unione Europea è stata una dichiarazione di circostanza: “siamo molto orgogliosi dei nostri leader”.

Come investire nel 2026 con una situazione geopolitica del genere?

Investire nel 2026 con Europa in forte declino

Che l’UE sia malconcia, non serve Trump a ricordarcelo. Ai margini delle relazioni diplomatiche tra i grandi della Terra, non riesce più a capire neanche quale sia il suo ruolo sul palcoscenico internazionale. Un po’ come quando Mauro Repetto si accorse della sua irrilevanza per il gruppo degli 883 fondato con Max Pezzali. E alla fine decise di ritirarsi dalle scene per non trasformarsi in una figura di contorno sul palco durante le esibizioni.

Questa situazione sta già avendo risvolti di natura economica e finanziaria. Per capire come poter investire nel 2026, ’27, ’28 e a seguire, bisogna per prima cosa cercare di anticipare le prossime tendenze sui mercati. Partiamo da una premessa nota agli studiosi di economia: governi deboli equivalgono a politiche inflattive. Lo dice la storia, ovunque e in ogni tempo dell’era moderna. Tenere a bada l’inflazione implica la forza delle istituzioni nell’imporre tassi di interesse più alti e un freno alla spesa pubblica. Questa forza in Occidente non ce l’ha quasi nessuno, neanche gli stessi USA di Trump.

Banche centrali torneranno accomodanti

A voi sembra un caso che da mesi il tycoon polemizzi con il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, che rimpiazzerà tra qualche mese con un uomo gradito? Punta ad ottenere tassi più bassi per ravvivare l’economia americana e ridurre il costo di emissione del gigantesco debito pubblico da ormai 38.000 miliardi di dollari. Direte che in Europa non corriamo questi rischi, perché la Banca Centrale Europea è indipendente. In realtà, c’è un lavorio tutto dietro le quinte per salvare le forme. Ma se i governi di Francia e Germania e pochi altri lo reclamassero, il taglio dei tassi arriverebbero anche da noi.

Nel frattempo, i debiti aumentano anche nel Vecchio Continente. Persino la Germania ha mollato il freno al debito e confida negli stimoli fiscali per tornare a crescere. I venti di guerra che soffiano sulle capitali europee rendono ancora più difficile la gestione del consenso. Si riaffaccia dappertutto lo spettro della leva obbligatoria. In Danimarca è ufficiale da luglio, mentre Berlino e Parigi stanno ripristinando il servizio militare “su base volontaria”. La popolazione europea si mostra fortemente contraria, anche perché è spaventata dall’idea che i giovani vengano mandati a combattere.

Conti pubblici e inflazione ai radar

Cosa c’entra questa dissertazione con come investire sui mercati nel 2026? Tutto. La debolezza dei governi restringe i loro margini di manovra per cercare di ripianare i rispettivi conti pubblici. Non puoi chiedere ai cittadini sacrifici e nel contempo auspicare che appoggino misure impopolari come il ripristino del servizio di leva e (Dio non voglia) la guerra. Quale governo potrà aumentare le tasse e/o ridurre i servizi assistenziali in queste condizioni? E quale può immaginare di alzare i tassi se l’inflazione salisse?

Ricordate: governi deboli preludono al lassismo fiscale e monetario. Una lezione che italiani e tedeschi dovremmo ricordare più degli altri. Fu con la Repubblica di Weimar che i secondi conobbero il flagello dell’iperinflazione. L’instabilità politica seguita alla fine del primo conflitto mondiale e le alte spese di riparazione dovute a Francia e Regno Unito spinsero la Reichsbank a stampare moneta per sopperire alle basse entrate fiscali. E i governi italiani, spesso balneari, reagirono agli anni di piombo con politiche di bilancio e monetarie ultra-espansive. Vivemmo un ventennio di alta inflazione e deficit alle stelle.

Boom azioni della difesa

Poiché è questo lo scenario che ci accingiamo a vivere, per investire nel 2026 dobbiamo tenere a mente che servirà tutelarci dal rischio inflazione e sovrano. Come? Prestando attenzione al tipo di asset che inseriamo in portafoglio. Le azioni potrebbero salire grazie alla loro capacità di seguire l’andamento dei prezzi al consumo. Il comparto della difesa di questi anni ci dice tanto. Leonardo ha messo a segno dallo scoppio della guerra un rialzo del 625% in borsa. Ancora meglio ha fatto la tedesca Rheinmetall con il +1.500%. La francese Thales ha segnato un +165%. Cedole escluse.

I titoli legati agli armamenti non sono esplosi a casaccio. Anticipano che stiamo tendendo ad un’economia di guerra. Se lo scenario geopolitico si aggravasse, la produzione bellica aumenterebbe a discapito delle altre produzioni (più cannoni e meno burro) e non è improbabile che i governi chiuderebbero le frontiere commerciali per allentare la dipendenza anche da economie come la Cina. Tutto questo scatenerebbe un’ondata di inflazione, similmente a quanto avvenuto in questi anni nella Russia di Vladimir Putin.

Bond meno appetibili in guerra

Quanto alle obbligazioni, il discorso diventa più complesso. In uno scenario inflazionistico questo asset tende a penalizzare i possessori. Poiché la speranza è che duri per pochi anni prima di un ritorno alla (nuova) normalità, qualche investitore potrebbe optare per le scadenze lunghe con rendimenti divenuti nel frattempo più alti. Tuttavia, sarebbero proprio queste scadenze a subire ulteriori forti cali nel caso in cui l’inflazione risalisse. E questo potrà provocare enormi perdite in conto capitale per il breve e medio termine, sebbene forse non quanto quelle accusate tra il 2022 e il 2023.

D’altra parte, le scadenze più brevi offrirebbero rendimenti insufficienti a garantire un’appropriata tutela contro l’inflazione. Ecco perché dovremmo tornare ad adocchiare le emissioni di titoli indicizzati. Ed ecco spiegata anche la corsa spasmodica di oro, argento e altri metalli con impieghi industriali come il rame.

Investire nel 2026 senza illusioni di breve termine

Attenzione a non limitare analisi al solo andamento della guerra in Ucraina. Può accadere che tra Kiev e Mosca si arrivi alla pace, che il prezzo di petrolio e gas scenda e che, temporaneamente, l’inflazione smonti le tende in Europa. Ciò muterebbe forse il discorso su come e cosa investire nel 2026, ma in un orizzonte temporale medio-lungo la musica resterebbe la stessa. Il nostro continente è al termine di un’era caratterizzata da pace interna e investimenti quasi nulli negli armamenti, beneficiando principalmente il welfare. Questo sistema non si regge più in piedi, perché gli USA non riescono a loro volta a pagare per la sicurezza altrui.

Aspettiamoci anni di bilanci zavorrati da spese militari crescenti e non coperte da tagli o maggiori entrate. L’inflazione sarà tollerata ben sopra il target del 2% per non affievolire una condizione dell’economia già precaria. I governi non avranno la forza per imporre l’ortodossia monetaria e fiscale. Al contrario, saranno costretti a seguire l’onda per non essere travolti. Le stamperie delle banche centrali serviranno a monetizzare i debiti nella speranza che rimangano a livelli contenuti rispetto al Pil. Monterà il malcontento tra le famiglie impoverite dalla perdita del potere di acquisto e spaventate anche solo dal cambio lessicale pro-bellico delle istituzioni rappresentative.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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