L’espressione “economia di guerra” era emersa durante la fase più acuta della pandemia. Nelle ultime settimane, sta assumendo un significato più proprio, dato che in Europa una guerra stavolta è esplosa davvero. Resta oscuro ai più il suo significato concreto, per quanto non esista una definizione inopinabile.
Quando parliamo di economia di guerra, ci riferiamo alla condizione di uno stato che di adatta a un evento bellico. E’ stata economia di guerra in Italia dal 1940 al 1945, quando l’ingresso nel secondo conflitto mondiale costrinse il nostro Paese a ripensare al suo modello produttivo e ai consumi. Nei campi, i raccolti furono requisiti e ai contadini si lasciò la quantità minima di grano per la sussistenza. Le proteste furono inutili. E ciò contribuì a sgretolare il consenso, fino ad allora elevato, di cui il fascismo ancora godeva.
Già con la guerra in Abissinia vi fu l’appello dello stato a donare l’oro alla patria. Molte famiglie accorsero ad offrire al regime persino le fedi nuziali in segno di contributo all’esperienza bellica. Negli USA, qualche anno prima era accaduto di peggio. Un Ordine Esecutivo del presidente Franklin Delano Roosevelt impedì ai cittadini americani di possedere oro, fatto salvo un quantitativo minimo di gioielli, così come fu vietata la richiesta di conversione dei dollari in oro. Il divieto durò per una trentina di anni e solamente nel 1974 con il presidente Gerald Ford fu del tutto soppresso. Non c’era alcuna guerra da combattere negli anni Trenta americani, bensì la Grande Depressione che stava decimando l’economia a stelle e strisce.
Economia di guerra in Europa
Quasi certamente, nessun governo europeo chiederà ai propri cittadini di consegnare l’oro. Ma l’economia di guerra è uno scenario di cui si discute nei fatti in questi giorni.
La crisi rischia di coinvolgere altri beni. In uno scenario estremo, l’Europa potrebbe sospendere del tutto le importazioni di petrolio russo. Ci mancherebbero carburante ed energia elettrica. Anche in questo caso, si opterebbe per un razionamento dei consumi, favorendo chi si sposta per lavoro o necessità e le forniture domestiche di base. Poiché dalla Russia e l’Ucraina arrivano anche grano e fertilizzanti per concimare i campi, a rischio vi sarebbero le prossime semine e i futuri raccolti. Nei supermercati potremmo leggere cartelli che limitino gli acquisti di prodotti alimentari per ciascun cliente.
In genere, il razionamento in guerra è dovuto al fatto che gli uomini sono chiamati alle armi e nelle fabbriche e nei campi molta manodopera risulta carente per la produzione, per non parlare delle distruzioni provocate dai bombardamenti.
Tetto ai prezzi e mercato nero
Un’altra caratteristica di un’economia di guerra consiste proprio nell’aumentare la produzione militare. E questo sta già accadendo, con i governi europei che hanno annunciato esplicitamente una corsa al riarmo. La stessa Italia prevede decine di miliardi di euro in più di spesa a favore della difesa nei prossimi anni. Infine, si sta ipotizzando l’imposizione di un tetto ai prezzi delle materie prime come il gas. Lo ha chiesto formalmente la Grecia e potrebbe diventare realtà nelle prossime settimane. L’Unione Europea si fa forte del fatto di essere la principale economia mondiale insieme agli USA, per cui i fornitori sarebbero indotti ad assecondare le sue richieste.
In definitiva, se le cose non si aggiustano presto, l’economia di guerra sarà un fatto acquisito. Alcuni generi alimentari, e non solo, sarebbero razionati per consentire a tutte le famiglie di consumarne in quantità minime appropriate. Il libero mercato sarebbe sospeso anche sul fronte della formazione dei prezzi, con un calmieramento imposto dai governi per i prodotti di base carenti.