Le vaccinazioni nel Regno Unito procedono speditissime. Nella giornata di ieri, sono state somministrate 874 mila dosi contro il Covid, segnando un nuovo record nella campagna vaccinale iniziata nel paese ormai tre mesi e mezzo fa, con diverse settimane di anticipo rispetto all’Unione Europea. Il giorno prima, le somministrazioni erano state più di 711 mila. E così, nell’ultima settimana hanno ricevuto una dose circa 3,9 milioni di britannici, pari al 5,7% della popolazione residente, portando al 45% il tasso di somministrazione totale.

In valore assoluto, parliamo di 31,6 milioni di dosi.

Di questo passo, Londra riuscirebbe a centrare l’obiettivo di vaccinare il 75% della popolazione con sei settimane di anticipo rispetto alla scadenza di fine luglio ad oggi fissata dal governo Johnson. Non a caso, la riapertura dell’economia britannica è iniziata nelle settimane scorse, pur con estrema gradualità, e dovrebbe culminare proprio a luglio, quando il paese dovrebbe tornare pressappoco alla normalità dopo lunghi mesi di “lockdown”.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Rispetto al picco toccato a inizio gennaio, i contagi giornalieri stanno aumentando del 90% in meno. Ancora migliori i dati sui decessi, sprofondati intorno ai 90 casi al giorno, segnando un crollo del 93% rispetto al picco del tardo gennaio. La strategia che il governo sta mettendo in atto è quella della copertura a tappeto con almeno una dose entro tempi brevissimi. Di fatti, coloro che hanno ricevuto entrambe le dosi e che, pertanto, possono considerarsi del tutto vaccinati contro il Covid, al venerdì scorso ammontavano al 3,1%, pari a 2,13 milioni di persone, meno delle 2,44 milioni in Italia.

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Rischio blocco delle esportazioni UE

Tuttavia, questa procedura si deve al fatto che i britannici stiano puntando perlopiù sul vaccino della loro casa farmaceutica AstraZeneca, i cui richiami sono fissati a 12 settimane di distanza dalla somministrazione della prima dose, considerato un lasso di tempo ottimale per massimizzare l’efficacia.

Qualche problema potrebbe sorgere dalle prossime settimane. Questo giovedì, i leader dei 27 stati UE si riuniranno in video-conferenza per decidere se attivare l’art.122 dei Trattati per la prima volta da 50 anni a questa parte. Si tratterebbe di bloccare le esportazioni delle dosi prodotte nel continente.

Ad oggi, 10 milioni ne sono state esportate proprio verso il Regno Unito, ma Bruxelles lamenta che AstraZeneca e, in misura inferiore, Pfizer non stiano ottemperando ai loro obblighi e minaccia di intervenire con un provvedimento molto pesante nel caso in cui la situazione non cambiasse. Si stima che Londra attenda 30 milioni di dosi da Johnson & Johnson e altrettante da Pfizer, prodotte nella UE. Secondo i dati di Airfinity, se il blocco delle esportazioni venisse attivato, l’immunità di gregge nel Regno Unito verrebbe raggiunta solo a fine agosto, due mesi dopo le attuali previsioni. Ma di ciò non si gioverebbe la popolazione europea, che vedrebbe anticipato il suo raggiungimento dell’immunità di gregge solamente di una settimana.

Il caso UK imbarazza la Commissione, perché rischia di far passare tra i cittadini comunitari il messaggio che la Brexit abbia fatto bene a Londra e che, al contrario, i nostri ritardi nella campagna vaccinale dipenderebbero proprio dalla cattiva gestione delle istituzioni UE. Il premier Boris Johnson ha già avuto colloqui telefonici con i premier di Belgio e Olanda e in questi giorni potrebbe sentire altri leader, al fine di trovare un’intesa ed evitare l’embargo, oltre che il surriscaldamento della temperatura tra le due sponde della Manica, le cui ripercussioni sarebbero spiacevoli per gli interscambi commerciali. Ad oggi, però, Londra batte Bruxelles per quasi 4 a 1, se si pensa che alla giornata di ieri il tasso di somministrazione in UE fosse fermo al 12,75%.

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