L’economia europea è debolissima e molto squilibrata al suo interno, mentre gli USA non si sono ancora ripresi del tutto dalla crisi del 2007-2008, mostrando bassi tassi di crescita del loro pil e una disoccupazione inchiodata al 7,9%. Eppure, dall’arrivo alla Casa Bianca di Barack Obama, i tassi Fed sono ai minimi storici e saranno ancora mantenuti tra lo 0 e lo 0,25% fino almeno alla metà del 2015. Non solo. Il governatore Ben Bernanke e il presidente americano hanno già adottato e portato a termine due piani di accomodamento monetario, i cosiddetti Quantitative Easing (QE), mentre un terzo QE è in corso di adozione, basandosi sull’acquisto da parte della Fed di obbligazioni immobiliari sul mercato americano per un controvalore di 40 miliardi di dollari al mese.

Insomma, la banca centrale acquista i titoli in cui sono stati impacchettati i mutui immobiliari, mentre anche a livello di politica fiscale, l’amministrazione Obama sta cercando di stimolare l’economia con un deficit mostruoso del 10% annuo e che non accenna a diminuire. Stimoli fiscali e monetari, dunque, sono la ricetta americana per la ripresa. Che non arriva. In Europa, invece, si taglia la spesa pubblica, ma la BCE ha abbassato i tassi ai minimi di sempre, portandoli allo 0,75%, dopo che già erano rimasti all’1% tra il maggio del 2009 e l’aprile del 2011. Insomma, non pare che la liquidità sia stata fatta mancare neppure all’economia europea, specie se si pensa che Francoforte ha messo a disposizione delle banche tra la fine di dicembre del 2011 e la fine di febbraio del 2012 oltre mille miliardi di euro, attraverso due aste Ltro, ossia prestiti fino a tre anni e all’1%. Ma l’effetto di tali misure non si è visto, se è vero che l’economia europea è in recessione, particolarmente, negli stati del sud. E, tuttavia, se la ripresa non s’intravede, sono fortissimi i rischi all’orizzonte.
Uno di questi si chiama inflazione. I prezzi crescono sulla base della massa monetaria in circolazione. E tutta questa moneta, magari ad oggi conservata nelle casseforti delle banche, per via del clima incerto, potrebbe inondare il mercato e portare a una spinta inflazionistica.  

Prezzi case in Germania: i segnali in arrivo sono preoccupanti

Ma se il timore viene smentito da Francoforte, alcuni segnali preoccupanti iniziano a intravedersi in Germania, ossia nello stato che più si sta avvantaggiando della crisi dei debiti sovrani. Qui, l’economia è cresciuta mediamente del 3% nel biennio 2010-’11, salvo rallentare fortemente quest’anno. Ma la disoccupazione è ai minimi dalla caduta del Muro di Berlino, al 6,9%, mentre il rifugio che gli investitori stanno intravedendo negli asset tedeschi, Bund in primis, ha comportato un deciso calo dei tassi sia sui bond pubblici, sia sui mutui immobiliari. Si è passati da una media del 5% per i mutui nel primo decennio del nuovo secolo al 3% di quest’ultimo biennio. E calcolando che solo il 43% dei tedeschi possiede una casa, si capisce come ciò stia spingendo le famiglie a comprare e le imprese a costruire nella speranza di fare affari su quella che a tutti gli effetti sembra essere una bolla immobiliare. I prezzi delle case sono cresciuti del 5% mediamente nell’ultimo anno, dopo venti anni di stagnazione. E in città-stato come Amburgo e Berlino si è arrivati a un +7%. Segno che il mercato immobiliare si sta surriscaldando.  

Prezzi case in Usa: inquietanti analogie con il passato

La situazione ricorda gli USA del 2005, quando i prezzi delle case esplodevano, così come gli acquisti, sostenuti da una politica monetaria relativamente accomodante, attuata dall’allora governatore Alan Greenspan. Ma se allora fu l’ottusità della Fed a consentire che il peggio accadesse, in Europa il problema è una banca centrale di fatto impotente.

Se da un lato Draghi dovrebbe sostenere la ripresa delle economie in crisi del Sud Europa, dall’altro, tuttavia, avrebbe la necessità di rialzare i tassi, per evitare che l’economia del Nord Europa s’incagli in una pericolosa bolla, causata dall’eccessiva quantità di moneta in circolazione, che sta stimolando oltre misura acquisti e investimenti in determinati settori. Il pericolo è più evidente negli USA, dove sia la politica monetaria che quella fiscale sono fin troppo accomodanti, al fine di incoraggiare i consumi delle famiglie e la ripresa del mercato immobiliare. Senonché, l’America sta cercando di affrontare la crisi del 2008 come già fece agli inizi del Duemila, quando dovette superare lo scoppio della bolla high tech del 1999-2000. Anche allora tassi bassi e deficit spending furono alla base della più grave crisi dal 1929 sul pianeta. Quale sarebbe, infatti, il rischio? I tassi zero negli USA e quelli molti bassi in Germania non sono sostenibili nel lungo termine, perché l’economia rischia di surriscaldarsi con una spirale inflazionistica distruttiva. Per questo, prima o poi dovranno essere innalzati, ma ciò porterà a una discesa dei prezzi immobiliari e al rischio che la bolla immobiliare scoppi per due motivi. Da un lato, molte famiglie che hanno contratto mutui a tasso variabile, confidando in tassi molto contenuti, non saranno più in grado di pagare le rate del mutuo o se lo faranno, dovranno comprimere gli altri consumi (effetto recessivo sull’economia). D’altro canto, le stesse banche inizieranno ad erogare i nuovi mutui a tassi più alti, ma con ciò scoraggiando gli acquisti di nuove case. Ecco, quindi, che l’offerta si scoprirà sovradimensionata, i prezzi scenderanno, ma con essi anche i valori a garanzia dei debiti contratti con le banche stesse. Insomma, una nuova crisi immobiliare, che gli USA e la Germania potrebbero esportare altrove, quando ancora siamo ai colpi di coda della vecchia crisi dei subprime del 2008.
 

Le possibili vie di fuga

Come si esce da questa spirale? E’ evidente che prima si prende atto che i tassi zero sono una iattura, meglio è. Se oggi dovesse prevalere il candidato repubblicano Mitt Romney alle elezioni presidenziali americane, la svolta per la Fed sarebbe immediata, perché la destra ha già avvertito Bernanke che non potrebbe più con essa attuare politiche monetarie accomodanti. Addirittura, molti ipotizzano in caso di vittoria di Romney le dimissioni del governatore, che sarebbe sostituito da qualche economista filo-monetarista. Obama, al contrario, ha promesso politiche di accomodamento monetario per almeno altri due anni e mezzo, il tempo necessario per lasciare al successore un’America nel baratro. Anche nell’Eurozona, però, bisogna invertire la mentalità e nonostante la BCE sia già fondata sull'”inflation targeting”, è necessario che Francoforte passi ai fatti, comprendendo che i tassi zero non sono la soluzione alla crisi. Le banche italiane avrebbero ricevuto oltre 250 miliardi in prestiti all’1%, ma senza che ciò abbia smosso di una virgola il pil (previsto intorno a -2,5% nel 2012 e a -0,5% nel 2013), anzi, alimentando il legame perverso tra istituti di credito e debito sovrano, che a sua volta ha innescato un meccanismo di sfiducia sulla loro solidità patrimoniale. Non vorremmo che dopo avere subito certi diktat dalla Germania, Berlino ci desse il colpo di grazia con lo scoppio di una sua bolla immobiliare.