Che Banca Unicredit non fosse “crypto-friendly” lo avevamo intuito dalla mancata possibilità concessa ai clienti di fare trading con i token digitali. Un servizio offerto oramai da un numero crescente di banche, anche italiane. Del resto, stiamo parlando di un mercato che è arrivato a valere oltre 2.000 miliardi di dollari. Adesso, però, sappiamo per voce diretta dell’istituto che il conto è a rischio chiusura nel caso in cui un cliente decidesse di investire in una delle crypto rinvenibili sul mercato.

Il servizio clienti ha risposto così in chat a un utente che aveva chiesto sulla possibilità di fare un bonifico su FXT e top-Up su crypto.

com:

Ti sconsiglio di effettuare pagamenti di questo genere con il nostro conto perché non rispecchiano la policy della banca e questo potrebbe portare a delle segnalazioni e anche alla chiusura del conto.

Al che l’utente ha chiesto di sapere quale fosse la sezione della policy a cui Unicredit fa riferimento. La risposta è stata genericamente ai pagamenti non sicuri, quali sarebbero ad avviso della banca quelli in favore di società gravitanti attorno al mondo crypto. Senonché l’utente ha pubblicato in rete gli screenshot della conversazione ed è esplosa la polemica, con tanto di richiesta di altri clienti a Unicredit di spiegazioni. La replica è stata impassibile con un tweet:

Ciao, le attuali policy del Gruppo vietano relazioni con controparti emittenti valute virtuali o che agiscano da piattaforme di scambio.

Conto Unicredit chiuso, paternalismo non richiesto

Una risposta al limite dello scioccante, perché siamo in presenza di una banca che minaccia la chiusura del conto nel caso in cui un cliente decidesse a suo rischio e pericolo di investire in un determinato asset. Anzitutto, quale sarebbe l’insicurezza all’atto dei pagamenti? Questi sarebbero gestiti proprio da Unicredit, per cui è come se la banca svelasse di non essere capace di svolgere bene il proprio lavoro.

Se, invece, il riferimento va alla rischiosità dell’investimento in sé, non spetta a Unicredit decidere dove il cliente possa o non possa investire. Per caso ha impedito in questi anni l’acquisto di titoli “spazzatura” come le azioni e le obbligazioni MPS? O investimenti in fondi opachi o strumenti finanziari incomprensibili?

De paternalismo di Unicredit non avevamo proprio bisogno e sorge il dubbio che si tratti di un atteggiamento finanche illegittimo, dato che le crypto come Bitcoin ed Ethereum in Italia non sono state messe al bando e, anzi, di recente l’Agenzia delle Entrate si è premurata di spiegare quando e come pagare le tasse sulle eventuali plusvalenze realizzate con i token digitali. Più che la possibile querelle legale, il suggerimento è di scegliere sempre “con i piedi” per dirla alla Einaudi. Se una banca non ti offre un servizio che credi sia utile per gestire al meglio il tuo denaro, meglio girare i tacchi e rivolgersi altrove. Ormai, non bisogna neppure più spostarsi da casa e fare la fila in filiale per spostare il conto presso un altro istituto. Puoi fare tutto online.

Preoccupante, però, resta questa sorta di crescente stato etico, per cui agli italiani è richiesto di fare o non fare questo o quell’acquisto, questo o quell’investimento per godere di un diritto, un sussidio o un servizio finanche bancario. Anche perché siamo all’ipocrisia sotto il sole. Ogni anno nel mondo sono centinaia di miliardi i dollari che transitano per i conti bancari e dalla provenienza dubbia, se non evidentemente illecita. Le crypto fanno paura non per la qualità dei capitali impiegati, quanto per l’assenza di un controllo ufficiale del sistema istituzionale e finanziario tradizionale. Ma è come cercare di resistere alla marea con una mano.

[email protected]