Dopo il presidente Recep Tayyip Erdogan, anche il suo ministro delle Finanze, Mehmet Simsek, ha invocato la riapertura del negoziato con Bruxelles per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Un’inversione a U dopo gli anni di tensione tra le parti su vari argomenti di natura geopolitica. Ankara non smette di stupire. Fino a qualche mese fa, la sua linea di politica estera sembrava tutta improntata a favore della Russia di Vladimir Putin. Nelle ultime settimane, il cambio di direzione clamoroso.

Il riavvicinamento all’Occidente è stato evidente, non solo a parole. Il 10 luglio scorso, il paese avallava l’ingresso della Svezia nella NATO dopo averlo rinviato e combattuto per circa un anno.

Negoziato con Bruxelles sarebbe difficilissimo

Quante chance ha oggi la Turchia di riuscire ad entrare nell’Unione Europea? Alla luce di quanto avvenuto negli ultimi venti anni, pochissime. Nel 2004, l’allora premier Erdogan avviò le trattative con Bruxelles. Per diversi anni, il clima sembrò molto positivo. L’unico grande paese contrario era la Germania, specie con l’arrivo alla cancelleria di Angela Merkel. I conservatori tedeschi temevano ripercussioni geopolitiche pesanti nel Vecchio Continente e, soprattutto, in Germania per via dei 3,5 milioni di turchi che vi vivono.

Quel negoziato non portò a nulla di concreto, se non alla crescente frustrazione di Erdogan e della popolazione turca per un rinvio dopo l’altro. Le trattative s’interruppero ufficialmente nel 2016, sebbene già da anni si fossero arenate. Il rispetto dei diritti umani e lo stato di diritto rimasero e rimangono ancora di più oggi temi divisivi tra le due parti. Diciamo che se nei primi anni Duemila vi era un clima perlopiù favorevole all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, oggi non esiste. C’è grande diffidenza verso Ankara e la persona di Erdogan, per non parlare del fatto che a Bruxelles nessuno immagina che allargare le istituzioni comunitarie sia buona cosa in questa fase storica.

Specie per far entrare un paese con caratteristiche socio-culturali diverse dal resto dell’area.

Erdogan torna ad ortodossia economica

Qual è, allora, il senso di questo ennesimo cambio di passo di Erdogan? Se pensate che egli creda che la Turchia sarà il 28-esimo membro comunitario, vi sbagliate. Il punto è che dopo la rielezione di maggio, a seguito di un ballottaggio combattuto, il presidente ha dovuto cambiare impostazione economica. Ha richiamato Simsek alle Finanze per rassicurare il mercato e nominare Hafize Gaye Erkan a capo della banca centrale per permettere la gestione di una politica monetaria più ortodossa e razionale. L’inflazione nell’autunno scorso è esplosa fin sopra l’85% e ancora oggi si attesta a più del 38%. I capitali esteri hanno smesso di affluire negli ultimi anni, mentre quelli domestici stessi hanno preso la via dell’estero.

Nel 2016, poco prima che il negoziato UE-Turchia formalmente naufragasse, gli investitori stranieri incidevano per il 25% della Borsa di Istanbul. Al 31 marzo scorso, la loro quota valeva appena lo 0,8%. A giugno, però, c’è stato l’afflusso di capitali dall’estero più alto da novembre 2021. Tra svalutazione della lira turca in corso e maggiore ottimismo verso la nuova fase apertasi ad Ankara, la fiducia sta riprendendo a salire. Negli anni del negoziato, la Turchia compì grossi passi in avanti grazie a numerose riforme economiche liberalizzatrici dei commerci, della finanza e dei settori produttivi. Il primo decennio di Erdogan al potere fu all’insegna della modernizzazione di stampo liberale.

Turchia nell’Unione Europea per riportare fiducia mercati

Erdogan stesso sa che tornare anche solo a parlare di negoziato con Bruxelles ispira fiducia tra gli investitori. Segnala loro che il paese starebbe tornando a guardare all’Occidente. Nessuno o quasi crede oggi che ci sarà un ingresso nell’Unione Europea, ma perlomeno si spera che il governo turco adotti standard occidentali su temi come politica economica, giustizia e diritti umani.

C’è bisogno di fiducia sui mercati per limitare i danni delle politiche passate. La lira turca ha perso quest’anno un altro 30% contro il dollaro. La sua svalutazione non sarebbe cessata. Il cambio si è portato a 27:1, probabile tenda al range 28:30 prima di assestarsi.

Pur meno del previsto, Erkan ha alzato i tassi d’interesse di 900 punti base al 17,50% in appena due riunioni della banca centrale. Il costo del denaro che aveva ereditato dal suo predecessore era all’8,50%. La Turchia rischia la recessione economica nella seconda metà dell’anno per via della gelata del credito e, quindi, di investimenti e consumi. L’inflazione non potrà scendere velocemente, a causa proprio della necessaria svalutazione del cambio per evitare che le riserve valutarie si prosciugano. Parlare di Turchia in Europa serve ad attirare fiducia dopo anni di provvedimenti non convenzionali su cambio, tassi e controlli sui capitali.

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