Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sta studiando da settimane un nuovo strumento finanziario capace di attirare gli investimenti delle famiglie italiane nei titoli di stato. L’obiettivo è di “nazionalizzare” il debito pubblico, cioè di accrescere la quota detenuta dal sistema Italia. Un’operazione considerata più che mai necessaria, ora che la Banca Centrale Europea (BCE) si accinge a chiudere i rubinetti degli acquisti anche in fase di reinvestimento con il “quantitative easing”. La premier Giorgia Meloni condivide: “dobbiamo far tornare le famiglie italiane ad investire nei titoli di stato”.

I dati ufficiali ci dicono che le famiglie italiane, sotto la dicitura “altri residenti” nei documenti sulla finanza pubblica della Banca d’Italia, al 31 ottobre scorso detenevano 176,743 miliardi di euro di BTp domestici. Una quota di appena il 6,4% dell’intero debito pubblico, del 7,7% considerata la sola quota rappresentata dai titoli di stato. Non è tanto, specie se raffrontato con gli anni Novanta, quando la quasi totalità del debito era in mani italiane. Ma c’è un dato positivo: rispetto alla fine del 2021, gli investimenti risultano saliti di circa 34 miliardi. A gennaio dello scorso anno, la quota detenuta dalle famiglie era del 5,3% e del 6,4% per la sola parte dei titoli di stato.

Eppur si muove, diremmo. Due sono stati i mesi più animati da questo punto di vista: giugno, quando gli investimenti sono balzati di 12,3 miliardi, e ottobre a +7,8 miliardi. I dati sin qui arrivano proprio al mese di ottobre. Possiamo supporre, però, che vi sia stato un altro grosso balzo anche a novembre, quando il Tesoro emise il BTp Italia novembre 2028. Le richieste delle famiglie furono di 7,2 miliardi, in linea con quelle del BTp Italia giugno 2030 a giugno, non a caso il mese più “caldo” sul piano degli investimenti in titoli di stato.

Titoli di stato più allettanti con rendimenti alti

Ritorno di fiamma verso il debito pubblico da parte degli italiani? Non c’è nulla di assolutamente patriottico in sé, in questo trend.

Semplicemente, i rendimenti stanno risalendo dopo essere stati per molti anni in agghiaccio. Restano abbondantemente sotto i livelli dell’inflazione, ma in prospettiva risultano ben superiori, visto che nessuno si attende che l’inflazione nei prossimi anni resti alta. Ad esempio, un BTp a 10 anni oggi offrirebbe un rendimento medio annuo reale superiore al 2%. Fino alla pandemia, andava di lusso se riusciva a restare intorno all’inflazione attesa. Con la pandemia il rendimento reale era sprofondato in territorio negativo.

Oltretutto, la liquidità tra le famiglie abbonda, come dimostrano i dati mensili dell’Associazione bancaria italiana. E i conti deposito offrono tassi d’interesse ancora oggi ridicoli. Ripiegare sui titoli di stato è diventato un must per chi vuole mettere a frutto i risparmi nel tentativo di proteggerli dall’inflazione, senza assumersi rischi significativi.

Fino a quando questo trend può andare avanti? Diremmo, finché non si affaccino alternative a basso rischio competitive. Solo quando le banche avranno rimborsato alla BCE i prestiti T-Ltro ottenuti a tassi negativi, forse la loro domanda di liquidità spingerà i tassi sui conti deposito all’insù. Ma nella migliore delle ipotesi, non soddisferanno la necessità delle famiglie di investire in un raggio temporale medio-lungo, mediamente attorno ai sette anni. Per allora, dovrebbe debuttare il nuovo strumento preannunciato da Giorgetti. Sarebbe esentasse, con cedola legata al PIL nominale e utilizzabile in parte come garanzia per ottenere prestiti dalle banche. Quanto risparmio convoglieranno questi titoli di stato ad hoc? Difficile da pronosticare, forse non così tanti come il governo spera.

[email protected]