Il 2022 non è iniziato granché bene per le borse mondiali, gravate da una serie di notizie negative. In primis, c’è la paura per le conseguenze della stretta monetaria in arrivo negli USA e che sarà seguita nel tempo dalle altre banche centrali. Le materie prime continuano a rincarare, accelerando i tassi d’inflazione e colpendo i consumi delle famiglie in fase di ripresa economica. Infine, le tensioni sull’Ucraina tra Russia e Occidente. I titoli bancari, però, non stanno seguendo il trend negativo degli indici principali.

Il comparto loro dedicato in Europa allo Stoxx vede una crescita di oltre il 4% da inizio anno. Nel frattempo, l’Eurostoxx cede il 4,5%.

Anche in Italia si registra qualcosa di simile. L’FTSE MIB va giù di quasi il 4%, mentre Unicredit riesce a cavarsela con +0,5% e Intesa Sanpaolo sfiora il +10%. Per quali ragioni le vendite starebbero risparmiando i titoli bancari? Grosso modo, per la stesse che stanno facendo ripiegare gli indici delle borse. L’inflazione spinge i rendimenti obbligazionari all’insù e prospetta il rialzo dei tassi presso le principali economie mondiali. In sé, la notizia è positiva per il sistema bancario.

Titoli bancari in rialzo, ecco il motivo

Le banche fanno affari raccogliendo denaro tra i clienti attraverso i conti correnti e deposito e prestandolo a imprese e famiglie. Chiaramente, in questa opera di intermediazione creditizia offrono ai primi tassi d’interesse più bassi di quelli che applicano sui prestiti. Il margine d’interesse genera il profitto. Quando i tassi sono molto bassi, come negli ultimi anni, il margine tende a ridursi. Da un lato, le banche non possono offrire ai clienti meno di zero, dall’altro gli interessi sui prestiti si riducono. In gergo, si dice anche che le banche subiscano una sorta di “floor” sui tassi per loro passivi.

E’ vero che qualche banca, specie in Svizzera e Germania, dove i tassi d’interesse sono stati in questo periodo molto bassi, qualche istituto abbia imposto tassi negativi sui grossi conti dei clienti.

Tuttavia, restano un’eccezione nel panorama creditizio. Le banche italiane a dicembre esibivano uno spread di 171 punti base, ovvero una differenza dell’1,71% tra tassi attivi e passivi medi. A fine 2007, tale spread era ancora di 335 punti, quasi il doppio. Ora che si prospetta un aumento del costo del denaro, le banche intravedono la possibilità di caricare sui prestiti interessi più alti, a fronte di tassi praticati alla clientela in minore rialzo. Dunque, il margine di profitto dovrebbe salire.

Questo spiega perché i titoli bancari in borsa stiano salendo, anziché scendere. Per loro l’inflazione e i tassi in aumento sono spunti positivi. Attenzione, però, ad esemplificare eccessivamente. Quando i tassi salgono, famiglie e imprese soffrono. Se la restrizione delle condizioni monetarie non è accompagnata da una robusta ripresa dell’economia, il rischio di boomerang per le banche diviene elevato. E lo abbiamo visto negli anni scorsi con il boom delle sofferenze. In pratica, gli istituti riuscirebbero teoricamente a spuntare margini d’interesse più alti, ma per contro molti clienti andrebbero a gambe per aria. Ne seguirebbero la mancata restituzione di un maggior numero di prestiti, la loro svalutazione e perdite a carico dei bilanci bancari.

[email protected]