Chi è andato anche solo in vacanza in Germania, sa che non esiste angolo di strada in cui non si vendano i kebab. Il panino turco qui è diffusissimo, importato da quei numerosi immigrati, che stando a recenti calcoli ammonterebbero complessivamente a 7 milioni, comprese le successive generazioni alla prima. E c’è un grosso problema di questi tempi: il prezzo del kebab è esploso in poco più di due anni, portandosi anche a 7 euro dai 3,90 euro a cui veniva venduto nel chiosco della Friedrichstrasse, via centrale della capitale.

Panino turco sempre più caro

Non pensate che la questione sia così irrilevante, perché di kebab in Germania ogni anno ne vengono venduti 1,3 miliardi e 400 mila nella sola Berlino. Facendo i calcoli della serva, una quindicina per ogni residente, neonati compresi. Ed è così che la Linke, formazione della sinistra post-comunista, sta cercando di cavalcare l’ondata di protesta che si leva, in particolare, tra i giovani. In vista delle elezioni europee, sperando che il tema possa portargli fortuna, il partito propone un tetto al prezzo del kebab: non più di 4 euro e 2,90 per i giovani, specie se rientranti nella fascia di reddito bassa. Fiutata l’aria, persino i Verdi al governo si mostrano favorevoli all’iniziativa, pur essendo tradizionalmente contrari alla carne come pietanza.

Dönerflation agita Scholz

Il cancelliere Olaf Scholz si è detto contrario, definendo la proposta “non realizzabile in un’economia di mercato”. Tuttavia, ha ammesso di trovare ovunque vada giovani che gli rivolgono una domanda sul tema. Tutti a chiedere il calmieramento di quella che è stata ribattezzata la “Dönerflation”. Non fatevi ingannare dalla dieresi sullo “o”, perché il termine Döner non è tedesco, bensì turco. Significa letteralmente “kebab che gira”. E dà il nome a una celeberrima catena presente in Germania.

Il tema è la spia di un malessere più profondo e che non riguarda solamente gli immigrati di origine turca.

L’inflazione ha decimato il potere di acquisto delle famiglie e resta ancora sopra il 2%. Per anni il modello tedesco fu lodato per la sua capacità di resistere alle intemperie. Si fondava sulle esportazioni di prodotti fabbricati grazie all’uso di energia a basso costo, in gran parte importata dalla Russia. Nel giro di niente i mercati internazionali si sono parzialmente richiusi con la pandemia e il gas russo non è più disponibile a causa delle sanzioni europee. Il risultato è un mix di prezzi alti e attività economica in calo o debole.

Kebab spia di un malessere diffuso

Ma il dibattito sul kebab svela un altro male dell’Europa odierna: il ritorno a una mentalità dirigistica, non soltanto tra una fascia crescente di cittadini. Tra restrizioni anti-Covid e tetto ai prezzi del gas, la politica sembra ringalluzzita dal desiderio di ottenere una rivincita sulle forze del mercato dopo averle subite per decenni. I governi ritengono che la globalizzazione sia alle spalle e che la transizione energetica offra loro il pretesto per tornare a discutere di politica industriale. Ciò che sembrava impensabile fino a qualche anno fa, è oggi divenuto già realtà. Se il governo della prima economia europea è arrivato a considerare seriamente il tema del tetto al prezzo del kebab, è perché si respira un clima favorevole per simili iniziative. E non solo a sinistra.

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