Categorie sul piede di guerra, ancora una volta è la previdenza l’oggetto della contesa con il governo. La legge di Bilancio per il 2024 prevede all’art.33 un taglio delle pensioni per i dipendenti pubblici in quiescenza dall’anno prossimo. I sindacati come la Cgil lo stima fino al 20% dell’intero assegno. Riguarda alcune categorie: dipendenti degli enti locali, sanitari, insegnanti di asilo e scuole parificate e ufficiali giudiziari. La quota retributiva versata tra il 1981 e il 1995 sarà sottoposta a revisione al ribasso ai fini del calcolo dell’assegno.

La logica sarebbe la seguente: minori gli anni di contributi versati in questo quindicennio e maggiore l’entità del taglio.

Perché e come funziona decurtazione assegno

Perché proprio queste categorie? In loro favore fu prevista nel 1965 una tabella che calcolava in misura molto più favorevole l’assegno in base ai contributi versati nel periodo compreso tra il 1984 e il 1994. Quella tabella sostanzialmente viene abolita e da ciò scaturisce il taglio delle pensioni per questi dipendenti pubblici. I sindacati lanciano l’allarme. Saranno in tanti a subire la decurtazione dell’assegno, visto che nei prossimi anni lasceranno complessivamente il Pubblico Impiego 700 mila dipendenti.

Il governo dal canto suo stima risparmi a regime fino a 8 miliardi di euro. Non proprio bruscolini per una Inps a caccia continua di risorse per fare quadrare i conti. Ingiustizia o atto dovuto? La risposta dipende sempre dal punto di vista. I dipendenti pubblici coinvolti possono lamentare il cambio delle carte in tavola dall’oggi al domani. I loro colleghi, specialmente del settore privato, eccepiranno che i “privilegi” non abbiano alcuna ragione di esistere e che se ci sia stata una categoria colpita in questi anni dalle riforme sulla previdenza, è quella dei dipendenti privati.

Settore privato in credito con Inps

La verità è che quando si parla di pensioni, tutti hanno possibilmente ragione e al contempo torto.

I numeri hanno la testa dura. Nel 2012, per volontà dell’allora governo Monti, l’Inpdad fu accorpata all’Inps. La prima era l’istituto previdenziale per i dipendenti pubblici. Nel 2019, ultimo anno prima della pandemia, i suoi conti zavorravano vistosamente quelli dell’intero istituto di cui fa parte da ormai più di un decennio. Il saldo tra contributi versati e pensioni erogate agli ex dipendenti pubblici era negativo di 33,65 miliardi di euro. Invece, il saldo dei dipendenti privati risultava attivo per 6,3 miliardi. Sommando anche gli autonomi, saliva a 12,8 miliardi.

In parole povere, il settore privato versa più contributi di quanto spenda l’Inps per pagare le pensioni. Solo che poi arriva la mazzata dei dipendenti pubblici, che travolge tutti i saldi di bilancio, esitano un “buco” complessivo di oltre una ventina di miliardi all’anno. Avete presenti tutte le discussioni sulla necessità di lavorare di più perché si vive più a lungo e ci sono basse nascite? Tutte vere, ma il settore privato risulta più che in equilibrio ugualmente. E’ il settore pubblico a indebitare ogni anno i cittadini-contribuenti. Specchio di “privilegi” goduti per decenni e che hanno scassato i conti previdenziali.

Taglio pensioni dipendenti pubblici fatto di solidarietà

Visto da questa prospettiva più ampia, il taglio delle pensioni per alcune categorie di dipendenti pubblici non solo non è illegittimo, ma persino doveroso. La solidarietà tra lavoratori non può avvenire solo in un senso. Ad oggi, il privato ha retto il peso enorme del pubblico. E’ arrivato il momento per il pubblico di contribuire al risanamento dei conti Inps. Il ricalcolo riguarda, oltretutto, la quota retributiva dell’assegno, che già non esisterà più per i lavoratori più giovani e che nel Pubblico Impiego si è prestata ad abusi inaccettabili in passato, come le promozioni nell’ultimo giorno di lavoro, con tanto di aumento dell’ultimo stipendio e dell’assegno.

Il taglio non cancellerà gli errori del passato, ma farà in modo che non si procrastinino per il futuro.

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