Quota 102 ha preso il posto di quota 100, ma la riforma delle pensioni resta un cantiere aperto. Le distanze tra governo e sindacati su come evitare il ritorno alla legge Fornero non si stanno riducendo. Il premier Mario Draghi ha garantito flessibilità in uscita ai lavoratori, ma fermo restando la sostenibilità del sistema previdenziale. Tutti sappiamo che con il metodo contributivo servirà lavorare di più per ricevere un assegno più basso. La logica è insita nella tipologia del trattamento: prendi quello che hai versato.

Tuttavia, esistono ancora oggi enormi squilibri tra categorie e generazioni.

La pensione retributiva, che si calcola per gli anni fino al 1995 se a quella data il lavoratore aveva fino a 18 anni di contributi versati e fino al 2011 se ne aveva più di 18 anni, si rivela ben più generosa. L’assegno è pari al 2% della retribuzione media degli ultimi tot anni per ogni anno di contribuzione. Gli anni di calcolo per la retribuzione vanno grosso modo agli ultimi 5-15 della quota retributiva.

Taglio della pensione retributiva per garantire flessibilità

Inutile girarci attorno. Lo stato italiano non può attingere ulteriormente alla fiscalità generale per ripianare i conti dell’INPS. E le pensioni ogni anno ci costano quasi un sesto della ricchezza prodotta. Troppo. L’unico modo per garantire assegni più dignitosi ai futuri pensionati sarebbe di intervenire oggi sugli assegni più fortunati. Come? Attraverso il taglio della pensione retributiva per i lavoratori in uscita nei prossimi anni. Tre le modalità: ridurre la percentuale della retribuzione garantita per ogni anno di contribuzione e allungare il periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione media. Infine, sarebbe opportuno anche armonizzare le norme sulla rivalutazione della retribuzione di riferimento a quelle utilizzate oggi per il montante contributivo.

Con il taglio della pensione retributiva, l’INPS si troverebbe qualche spicciolo in cassa in più. Denaro, che servirebbe o a ridurre il sostegno dello stato per colmare i deficit di bilancio o a prolungare il mantenimento dell’attuale età pensionabile.

A metà secolo, infatti, l’Italia manderà in pensione i lavoratori a 71 anni, l’età più alta in Europa. Insomma, la flessibilità richiesta dai sindacati a una decina di anni di distanza dall’entrata in vigore della legge Fornero può essere finanziata da chi ancora oggi gode di “privilegi” in termini di calcolo dell’assegno.

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