Anno nuovo, novità sulle pensioni. E’ un classico del confuso sistema previdenziale italiano. In questo articolo, ci concentreremo sul calcolo della pensione retributiva. Anzitutto, qual è la differenza con il metodo contributivo? Quest’ultimo calcola l’assegno sulla sola base dei contributi versati dal lavoratore durante la sua carriera professionale e rivalutati annualmente secondo il tasso medio di crescita quinquennale del PIL nominale italiano.

Il calcolo della pensione retributiva avviene in percentuale della retribuzione del lavoratore negli ultimi anni di carriera.

Esso è più favorevole al beneficiario, in quanto generalmente eroga assegni più pesanti rispetto a quelli che si percepirebbero sulla base dei soli contributi. E questo per il semplice fatto che la retribuzione tende a crescere negli anni, per cui il lavoratore si ritrova a vedersi calcolato l’assegno su una base imponibile più alta dei contributi versati.

Andiamo nei dettagli. Per il calcolo della pensione bisogna, anzitutto, distinguere tra classi di lavoratori. Tutti coloro che hanno iniziato a versare i contributi previdenziali dopo il 31 dicembre 1995 rientrano integralmente nel metodo contributivo. Invece, coloro che al 31 dicembre 1995 posseggono almeno 18 anni di anzianità lavorativa, si vedranno calcolato l’assegno con il metodo retributivo per gli anni di anzianità maturati fino al 31 dicembre 2011, prima dell’entrata in vigore della legge Fornero. Per quei lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano meno di 18 anni di contributi versati, il calcolo della pensione sarà retributivo per gli anni di anzianità fino a quella data e contributivo per gli anni successivi.

Calcolo della pensione retributiva con le due quote

E adesso arriva il passo successivo: distinzione degli anni retributivi tra quota A e quota B. La prima si riferisce agli anni fino al 31 dicembre 1992, la seconda agli anni successivi al 1993. Con la quota A si guarda agli ultimi 5 anni (260 settimane) per le retribuzioni del lavoratore dipendente privato; agli ultimi 10 anni per i redditi dichiarati dal lavoratore autonomo e all’ultimo anno per le retribuzioni del lavoratore dipendente pubblico.

Con la quota B si guarda agli ultimi 10 anni per il lavoratore dipendente privato e pubblico; agli ultimi 15 anni per il lavoratore autonomo. Nel caso in cui al 31 dicembre 1992 il lavoratore possedesse meno di 15 anni di contribuzione, la quota B comprende tutti gli anni successivi al 1992 e i 5 anni precedenti al 1993 (10 anni per i lavoratori autonomi). Per i dipendenti pubblici, il riferimento diventa tutto il periodo successivo al 1992.

A questo punto, il passo finale: si prende la retribuzione media di ogni anno e la si rivaluta per il tasso d’inflazione per gli anni fino al 1992; per il tasso d’inflazione più l’1% per gli anni di anzianità successivi al 1992. Infine, per ogni anno di anzianità maturato si ha diritto al 2% della retribuzione media di riferimento fino a un massimo dell’80%. In sostanza, sono riconosciuti fino a 40 anni di anzianità con il metodo retributivo. Chiaramente, nel caso in cui il lavoratore fosse soggetto per determinati periodi al calcolo della pensione con il metodo contributivo, sommerà alle due quote di cui sopra anche la quota C.

[email protected]