Una ventina di giorni per preparare la legge di Bilancio 2024, che dopo dovrà essere inviata alla Commissione europea e successivamente votata dal Parlamento italiano. Il governo è a caccia di risorse per finanziare le innumerevoli misure di spesa richieste sia dalla maggioranza che lo sostiene, sia da voci obbligate come pensioni, rinnovi contrattuali e sanità. Serviranno fino a 40 miliardi di euro, una montagna di denaro, tant’è che la premier Giorgia Meloni ha invitato i partiti del centro-destra ad abbassare le pretese e a concentrare le richieste sui capitoli principali.

Ci sono alcune misure indispensabili e la più importante riguarda il taglio del cuneo fiscale. Per due ragioni: nel giugno del 2024 si terranno le elezioni europee e la maggioranza non vorrà presentarsi a mani vuote; in assenza di rinnovo, le buste paga dei lavoratori dipendenti scenderebbero. Questo secondo scenario sarebbe impopolare sempre e ovunque, figuriamoci in un’economia con un’inflazione salita del 7-7,5% sopra le retribuzioni solamente nel 2022.

Lega e Forza Italia per maggiore spesa pensioni

Per finanziare il taglio strutturale del cuneo fiscale saranno necessari 10 miliardi di euro, mezzo punto di PIL. Già è un dato da fare tremare i polsi, anche perché dall’anno prossimo lo spandi e spendi non sarà più così possibile come negli ultimi anni. Riformato o meno, tornerà in vigore il Patto di stabilità con tutte le sue regole fiscali restrittive. Il problema è che questo provvedimento cozza con altre misure invocate da alcuni partiti della maggioranza. Se la Lega di Matteo Salvini pretende un’alternativa alla legge Fornero, Forza Italia di Antonio Tajani punta ad innalzare le pensioni minime.

Quando parliamo di cuneo fiscale, facciamo riferimento alla differenza tra il costo del lavoro sostenuto dall’imprenditore e la retribuzione percepita dal dipendente. Essa è data dalla somma dei contributi previdenziali e dell’Irpef con annesse addizionali. Un cuneo fiscale elevato tiene alto il costo del lavoro, disincentivando le assunzioni, riducendo l’appeal del lavoro, ossia disincentivando ad accettare un impiego.

In Italia risulta essere nettamente sopra la media europea. Al contempo, abbiamo tra le retribuzioni più basse del continente.

Minori contributi Inps e più fiscalità generale

Il taglio del cuneo fiscale già varato e che sarebbe definitivo dall’anno prossimo riguarda la decontribuzione. Sui redditi fino a 25.000 euro lordi all’anno il lavoratore verserà all’Inps il 7% in meno, sopra 25.000 e fino a 35.000 euro il 6% in meno. In altre parole, sarà l’Inps a ricevere minori entrate. L’ammanco sarà coperto dallo stato, che verserà all’ente la differenza. Il problema sta nel fatto che, così facendo, in futuro le pensioni verranno pagate attingendo stabilmente alla fiscalità generale, anziché ai soli contributi. E già oggi lo stato è costretto ad intervenire per coprire il “buco” alimentato dai pensionati pubblici facenti capo all’ex Inpdad, assorbita dall’Inps nel 2012.

L’unica speranza per evitare ciò sarebbe che negli anni queste manovre di riduzione del cuneo fiscale aumentino l’occupazione al punto da non rendere più necessario l’intervento dello stato. Maggiore il numero degli occupati, infatti, maggiori le entrate contributive. Tuttavia, questo scenario, già di per sé ottimistico, rischia di diventare irrealistico sin da subito se nel frattempo parte della maggioranza briga per aumentare la spesa per le pensioni. Per quanto contenuta sarà la voce di spesa a favore di Ape Social, Opzione Donna e Quota 103, la direzione è sbagliata. Se tagli il cuneo fiscale, devi in prospettiva ridurre dello stesso ammontare la spesa previdenziale. Qui, si sta facendo il contrario: moglie ubriaca e botte piena.

Taglio cuneo fiscale solo con metodo contributivo

L’unica strada possibile per accontentare le opposte istanze sarebbe di allentare l’età pensionabile prevedendo la liquidazione dell’assegno solamente con il metodo contributivo.

Ciò consentirebbe a un lavoratore di andare in pensione prima senza gravare sui conti dell’Inps, perché riceverebbe un assegno mensile proporzionato ai contributi versati e agli anni residui di vita attesa. Mandare in pensione anticipata lavoratori con il regime misto, ossia con una quota liquidata attraverso il metodo retributivo, è costoso, iniquo e confliggente con il taglio del cuneo fiscale.

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