Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, riferirà oggi in Parlamento sull’avvio delle trattative in esclusiva tra Tesoro e Unicredit in merito alla cessione di MPS. Le condizioni poste da Piazza Gae Aulenti per prendersi le attività “in bonis” di Siena appaiono inaccettabili sotto il profilo politico e finanziario. Tutti i debiti e i rischi resterebbero in capo allo stato e tutta la “polpa” andrebbe a Milano. Tra i partiti c’è fermento. Lega, Fratelli d’Italia, Movimento 5 Stelle e Leu puntano al rinvio della ri-privatizzazione.

Lo stato ha tempo fino al 31 dicembre di quest’anno per cedere la banca a un privato, ma la speranza sarebbe che il premier Mario Draghi trovasse margini per chiedere alla Commissione europea una proroga dei tempi.

Vendere precipitosamente equivale a svendere. Questo è l’appunto un po’ di tutti i partiti di maggioranza e opposizione. Sta di fatto che il Tesoro cerchi da mesi un cavaliere bianco per MPS senza trovarlo. Unicredit ha buon gioco ad alzare il prezzo per accollarsi un asset ormai senza speranze. La proroga, se mai dovesse arrivare, consentirebbe sì al governo di guadagnare tempo, ma i costi a carico di noi cittadini non verrebbero meno.

I costi di MPS nel caso di proroga

Anzitutto, si apre il capitolo esuberi. Tra 5 e 6 mila dipendenti dovranno essere incentivati a lasciare MPS in anticipo fino a sette anni. Il costo stimato dell’operazione sarebbe di 1,2 miliardi. Chi paga? E nei giorni scorsi, agli stress test della BCE MPS è risultata ultima per robustezza del patrimonio. Dovrà rafforzarlo di 2 miliardi, in linea con le attese. Poiché il Tesoro è azionista di maggioranza con oltre il 64% del capitale, dovrebbe metterci qualcosa come circa 1,3 miliardi per rispondere alle sollecitazioni di Bruxelles.

E questo solo nel periodo che va da oggi alla privatizzazione. Con la cessione, sia essa a Unicredit o un eventuale altro istituto interessato, ne arriveranno di altri.

Quasi impossibile allo stato attuale ipotizzare di recuperare tutti i 3,9 miliardi investiti nel 2017 dallo stato per entrare nel capitale. E, comunque, dovranno essere garantiti all’acquirente i crediti fiscali per neutralizzare l’impatto dell’operazione sul capitale e quasi certamente nessuno si accollerebbe le filiali meno redditizie, così come i debiti di MPS. Dunque, il problema sta nel credere che qualche mese o anche un anno in più di tempo per vendere muterebbe radicalmente in meglio le condizioni.

A rischiare più di tutti da questa vicenda è il PD, che sta candidato il segretario Enrico Letta alle elezioni suppletive della Camera proprio per il seggio di Siena. L’ex premier teme di dovere affrontare una campagna elettorale in difensiva e di dovere dare conto delle responsabilità del suo partito nella governance fallimentare di MPS. Cinque anni fa, una sorte del tutto simile toccò all’allora premier apparentemente invincibile Matteo Renzi. Straperse il referendum costituzionale proprio per l’affare banche.

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