Partiti disorientati e, soprattutto, impauriti dell’impatto che la vendita di MPS a Unicredit avrebbe sull’opinione pubblica. Il PD candida il segretario Enrico Letta alle elezioni suppletive per un seggio alla Camera a Siena. E teme che la vicenda riporti alla mente dei toscani la cattiva gestione della banca e il costo salatissimo dei salvataggi dello stato di questi anni.

Unicredit ha rotto gli indugi e la scorsa settimana ha approvato in consiglio di amministrazione l’avvio delle trattative in esclusiva con il Tesoro per rilevare le parti “in bonis” di MPS.

Ma a precise condizioni: niente NPL, niente aumento di capitale, niente sportelli nelle aree del territorio nazionale in cui non ve n’è bisogno, niente rischi legali, niente debiti e, infine, nessun impatto negativo su capitale e utile per azione.

Dai risultati degli stress test della BCE è emerso, sempre settimana scorsa, che MPS avrà bisogno di 1,5-2 miliardi di euro di ricapitalizzazione. Di questa somma, lo stato dovrebbe farsene carico per circa i due terzi (64,2%), pari alla sua quota nel capitale della banca senese. E siamo solo agli inizi della lunga lista dei costi che ricadranno sui contribuenti italiani per salvare ancora una volta MPS.

Vendita MPS a Unicredit, conto proibitivo per i contribuenti

Seguono, infatti, gli oltre 2 miliardi di NPL netti a bilancio, che dovrebbe rilevare AMCO, un’altra società controllata dallo stato. Dovrebbe pagarli proprio intorno a 2 miliardi, ma è assai probabile che a consuntivo il loro valore effettivo scenderà di molto. Pertanto, nuove perdite coperte dallo stato. E i rischi legali non mancano. La Fondazione ha concluso un accordo di 150 milioni di euro con MPS, ritirando la richiesta di un maxi-risarcimento da 3,9 miliardi. Ma restano altri circa 6 miliardi di cause legali pendenti.

E per ingolosire Unicredit sull’acquisto di MPS, lo stato le riconoscerà crediti fiscali (Dta) per 2-2,5 miliardi.

Infine, ai prezzi di mercato attuali, la quota del Tesoro varrebbe sui 750 milioni, quando nel 2017 ne spese 5,4 miliardi per entrare nel capitale e convertire le obbligazioni subordinate in azioni. La perdita si aggirerebbe sui 4,6 miliardi. E non vogliamo parlare neppure delle filiali al sud che dovrà con ogni probabilità accollarsi Mediocredito Centrale, istituto controllato da Invitalia, l’ente del Tesoro guidato dall’ex commissario Domenico Arcuri.

Un bagno di sangue, che al momento appare inevitabile comunque la si giri. Ma fa impressione pensare che i vertici di Unicredit siano legati a doppio filo alla vicenda MPS. Il presidente Pier Carlo Padoan fu il ministro dell’Economia che si occupò di nazionalizzare la banca toscana nel 2017, mentre l’amministratore delegato Andrea Orcel svolse il ruolo di advisor nel 2007 quando MPS acquistò a prezzi fuori mercato Banca Antonveneta, consentendo alla spagnola Santander di realizzare enormi plusvalenze in pochi mesi. L’operazione è considerata la madre di tutte le sciagure di Siena e, duole ammetterlo, avvenne sotto la vigilanza di Mario Draghi, allora governatore della Banca d’Italia.

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