L’eliminazione dello sconto un fattura e della cessione del credito con i bonus edilizi, Superbonus 110 compreso, ha gettato nel panico migliaia di imprese italiane. Gli incentivi legati alle ristrutturazioni degli immobili nei fatti sono fortissimamente ridimensionati. Si salvano solo i lavori per i quali è già stata presentata la Cila alla scadenza del novembre scorso. Per tutti gli altri resta solo la possibilità di realizzare gli interventi avvalendosi delle detrazioni fiscali, cioè anticipando liquidità che moltissime famiglie non posseggono. Il problema è serio e molto più ingarbugliato di quanto pensiamo.

Da un lato, le ragioni sacrosante di ditte e proprietari, dall’altro quelle non meno veritiere del governo. La premier Giorgia Meloni ha spiegato ieri che di questo passo rischiavamo di non poter più fare la prossima finanziaria. Ha parlato di 2.000 euro di costo per ciascun italiano residente. Spieghiamo meglio.

A oggi, tra Superbonus e altri bonus edilizi risultano impegnati 105 miliardi di euro e, stando agli ultimi dati disponibili non ufficiali, tale somma sarebbe salita a 120 miliardi. E ciò equivale proprio a 2.000 euro per ciascun abitante nel nostro Paese. Ci sono 15 miliardi ad oggi di crediti d’imposta incagliati, cioè che le imprese non riescono a cedere alle banche e che rimangono nei cassetti fiscali. Il Parlamento è al lavoro da oggi per trovare una soluzione a tale guaio. Sono due le ipotesi, non necessariamente alternative tra di loro: cartolarizzazione e utilizzo dell’F24.

ANCE e ABI, rispettivamente l’associazione dei costruttori e quella delle banche, propongono di sbloccare quei 15 miliardi consentendo agli istituti di credito di portarli a compensazione con i debiti versati dai clienti al Fisco tramite i modelli F24. In Fratelli d’Italia si punta anche alla cartolarizzazione. Essa consisterebbe nell’impacchettare i crediti in strumenti finanziari emessi da un veicolo e successivamente rivenduti sul mercato.

Parere Eurostat su crediti Superbonus

In ogni caso, bisognerà fare i conti con il parere dell’Eurostat, atteso a giorni.

Nelle scorse settimane, l’istituto di statistica europeo aveva tracciato una distinzione tra crediti d’imposta pagabili e non pagabili. Nei primi rientrano i crediti maturati verso lo stato e immediatamente riconosciuti dallo stato. Nei secondi vi sono i crediti che comportano per lo stato una minore entrata futura. I crediti d’imposta pagabili sono da considerarsi deficit a tutti gli effetti nello stesso anno in cui sorgono, cioè in cui sono avviati i lavori con Superbonus e altri bonus edilizi. Nel caso dei crediti non pagabili, invece, la spesa per lo stato va spalmata su tutto il periodo di durata dell’incentivo. Nello specifico, in cinque anni.

Dunque, non è vero che l’Eurostat abbia scritto nero su bianco che i crediti legati al Superbonus siano debito pubblico. Ha scritto, invece, che debbano considerarsi sempre deficit e, a seconda che siano pagabili o non pagabili, essi ricadono nell’esercizio in cui sorgono o lungo tutto il periodo di compensazione concesso (cinque anni). Cosa distingue un credito pagabile da uno non pagabile? La trasferibilità, la possibilità di compensazione con altri debiti fiscali e la differibilità per un periodo prolungato.

In altre parole, se con il Superbonus ho la possibilità di cedere il credito d’imposta senza limiti, esistono alte probabilità che quel credito divenga una minore entrata per lo stato per intero e subito. Stando così le cose, si capisce perché dal governo Draghi in poi si sia fatto di tutto per ridurre la circolazione dei crediti. Tra l’altro, l’Eurostat dovrà a giorni esprimersi sulla natura dei crediti d’imposta incagliati e che il governo, in un modo o nell’altro, intende sbloccare. Se fossero da conteggiare come deficit nell’anno 2022, il governo avrebbe mani libere sui conti pubblici di quest’anno.

Se dovessero essere conteggiati solo come deficit nel 2023, gli spazi di manovra si esaurirebbero per le altre misure come taglio del cuneo fiscale, eccetera. E verosimilmente non si potrebbero sbloccare i crediti.

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