Era il 27 aprile di trenta anni fa quando Nelson Mandela assumeva la carica di presidente del Sudafrica, a seguito delle vere prime libere elezioni nella storia del paese che avevano segnato la fine ufficiale dell’apartheid. Il leggendario leader della maggioranza nera morì più di dieci anni fa e fece in tempo a rendersi conto di quanto la realtà si fosse rivelata ben meno poetica di quanto sognato durante le dure lotte contro la discriminazione razziale. Il Sudafrica è oggi il paese più iniquo del mondo, oltre che tra i più violenti.

Il prossimo 29 maggio, quasi 28 milioni di cittadini saranno chiamati a votare alle settime elezioni politiche da quando esiste la democrazia. Ma ci sarà poco da festeggiare per il trentennio. I sondaggi prefigurano un possibile terremoto partitico.

La crisi dell'ANC in Sudafrica

La crisi dell’ANC in Sudafrica © Licenza Creative Commons

Sudafrica al voto e ANC in crisi di consensi

Dal 1994 ad oggi, l’African National Congress (ANC) ha sempre conquistato una nettissima maggioranza all’Assemblea Nazionale. Si tratta della formazione di riferimento della maggioranza nera, partito di cui lo stesso Mandela fu leader giovanile. Per la prima volta dalla fine dell’apartheid, perderebbe la maggioranza assoluta dei seggi. Le ultime previsioni lo danno persino sotto il 40%, a soli tredici punti di distanza dall’Alleanza Democratica di John Steenhuisen. Questo è il partito che rappresentava in passato la minoranza bianca, ma che oggi punta a tutto l’elettorato e che ha tendenze liberali e filo-occidentali. Con altre piccole formazioni di opposizione ha sottoscritto un accordo di coalizione. E ciò starebbe avvantaggiando la sua corsa.

Cresce la sinistra radicale

Tuttavia, la bilancia pende ancora fortemente a sinistra nel computo complessivo dei consensi. Sopra il 10% vi è l’Economic Freedom Fighters, i Combattenti per la Libertà Economica, che sono un partito di ispirazione marxista.

Nei loro piani vi è la redistribuzione delle terre ai neri attraverso l’esproprio ai danni dei proprietari bianchi, nonché la nazionalizzazione dell’industria mineraria e il rafforzamento del ruolo dello stato in economia. Ma sempre a sinistra è nato nei mesi scorsi un nuovo movimento: uMkhonto we Sizwe (MK), fondato dall’ex presidente Jacob Zuma e che prende il nome dall’organizzazione paramilitare dell’ANC ai tempi dell’apartheid. Zuma fu deposto da capo dello stato nel 2018 con accuse pesanti di corruzione dallo stesso ANC.

Secondo i sondaggi, MK sarebbe al momento terzo partito con il 14% dei consensi. Risulterebbe determinante ai fini della formazione del prossimo governo e dell’elezione del successore di Cyril Ramaphosa. In Sudafrica essa spetta all’Assemblea Nazionale, non è diretta. A questo punto, se Ramaphosa vuole ottenere un nuovo mandato, deve o allearsi alla sua sinistra o cercare un accordo inedito alla sua destra. Oggi, il rand ha reagito negativamente agli ultimi sondaggi e cede lo 0,27% contro il dollaro Usa. Il mercato teme che l’ANC si allei con i due partiti alla sua sinistra, estremizzando le sue politiche già note per estrema inefficienza e interventismo statale.

Crisi del lavoro in Sudafrica

Crisi del lavoro in Sudafrica © Licenza Creative Commons

Mercato del lavoro scassato

Dicevamo, il Sudafrica versa in pessime condizioni. Il 55% della sua popolazione vive in povertà relativa, il 25% soffre privazioni alimentari. Oltre alla classica disparità sociale tra bianchi e neri, c’è quella tra chi ha un posto di lavoro e chi è disoccupato. Il tasso di disoccupazione supera il 32%. Gli occupati arrivano a 16,7 milioni. Pensate che parliamo di un Paese con una popolazione simile a quella italiana, ma con 7 milioni in meno di persone al lavoro. E dire che già nel Bel Paese registriamo un basso tasso di occupazione. Eppure, il nostro 62% scarso surclassa di gran lunga il neppure 41% di Pretoria.

I 3 milioni di dipendenti pubblici rappresentano quasi la metà dei contribuenti. Dati allarmanti per un’economia emergente che cresce lentamente da troppi anni e che scende costantemente nelle classifiche internazionali sulla libertà economica. A tutto ciò si aggiunge un elevatissimo tasso di omicidi: 45 su ogni 100.000 abitanti. In Italia, siamo a 0,60. Di fatto, la sicurezza è garantita nei quartieri bene dai servizi privati. Come se non bastasse, la carenza dell’offerta energetica provoca blackout frequenti a cui i sudafricani hanno fatto l’abitudine.

Deriva venezuelana vicina

Deriva venezuelana vicina © Licenza Creative Commons

Vicina la deriva venezuelana

Le elezioni di maggio saranno un bivio per il Sudafrica: o la tendenza in atto da decenni ne risulterà acuita con l’inevitabile deriva venezuelana o assisteremo a uno spostamento geopolitico di tipo filo-occidentale. In questi mesi, le istituzioni di Pretoria si stanno mostrando attive nell’ingaggiare una battaglia giudiziaria all’Aja contro Israele con l’accusa di “genocidio”. E’ solo la punta dell’iceberg della politica estera e commerciale dello stato. Membro dei Brics, guarda ormai più a Cina e Russia che non a Stati Uniti ed Europa. Eppure, le sue esportazioni si hanno perlopiù proprio sui mercati occidentali.

In un certo senso, per il Sudafrica si presenta un’opportunità simile a quella che ha avuto l’Argentina nei mesi scorsi con l’elezione di Javier Milei: porre fine alle politiche socialiste e spostare le alleanze internazionali in favore di Washington e Bruxelles. Il problema è che l’ANC resterà l’asse portante di qualsiasi governo che verrà. Un cambio radicale di programma sembra improbabile, vista la concorrenza a sinistra di due movimenti molto popolari. Difficilissimo un accordo con Alleanza Democratica, che si avrebbe nel migliore dei casi sulle singole votazioni parlamentari.

Sudafrica ancora più a sinistra dopo le elezioni?

Ad oggi risulta, quindi, più probabile un ulteriore spostamento a sinistra delle politiche in Sudafrica.

I bond sovrani, già classificati come “spazzatura”, rischiano nuovi declassamenti dalle agenzie di rating. Il debito è risultato sopra il 72% del Pil nel 2023. Era sotto il 28% nel 2008. Il disavanzo fiscale resta elevato, al 4,9%. Il dato più basso nell’ultimo decennio fu nel 2016 al 3,8%. C’è una cattiva gestione di tutta l’economia e il rischio dopo le elezioni è che peggiori. La deriva venezuelana bussa alle porte.

[email protected]