La notizia è passata in sordina. Per la sua complessità tecnica, non è di quelle che vanno in primissima pagina, se non quando se ne colgono gli effetti collaterali. La Banca Centrale Europea (BCE) ha reso noto nei giorni scorsi che condurrà nei prossimi mesi nuovi stress test su 70 banche dell’Unione Europea, 20 in più rispetto ai precedenti. Salgono da 38 a 57 gli istituti dell’Area Euro sotto monitoraggio. Le banche italiane sottoposte a controllo saranno BPM, BPER, Cassa Centrale Banca – Credito Cooperativo Italiano, Credito Emiliano, Iccrea, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, MPS e Unicredit.

Ed emerge che i criteri utilizzati per valutare l’adeguatezza patrimoniale saranno i più severi sin qui adottati.

Criteri adottati per scenario avverso

Cosa sono gli stress test? Si tratta di definire per l’appunto uno scenario critico o di “stress” per verificare quale sarebbe, in teoria, l’impatto sul capitale di una banca. Mentre in passato si arrivava a stilare pagelle con promossi e bocciati – vi ricordate le insufficienze di MPS? – adesso si opta per soluzioni più morbide: nessuna bocciatura, bensì dialogo uno ad uno con gli istituti al fine di valutare il potenziamento del capitale ai livelli considerati di assoluta sufficienza anche in condizioni avverse.

Gli stress test a questo giro prendono in considerazione alcuni scenari molto negativi rispetto a quello di base, cioè quello previsto dalle stime di dicembre dell’Eurosistema e del Fondo Monetario Internazionale. Vi riportiamo in estrema sintesi i punti salienti:

  • Inflazione più alta del 3% nel 2023, dell’1,9% nel 2024 e dell’1,5% nel 2025;
  • Tassi d’interesse di 183 punti base più alti tra la fine del 2022 e la fine del 2025;
  • Crollo del PIL reale del 6% nel triennio 2023-2025;
  • Disoccupazione a +6,1% nel triennio 2023-2025;
  • Crollo dei prezzi delle azioni tra 43% e 55% nel triennio 2023-2025;
  • Prezzi degli immobili in calo del 21-29% nel triennio 2023-2025;
  • Spread a quota 400 punti base;
  • nuova ondata di contagi da Covid-19.

Banche italiane colpite da stress test BCE

Manca l’invasione delle cavallette e con le dieci piaghe d’Egitto ci siamo.

Ora, gli stress test possono effettivamente offrire spunti per i casi di forte deterioramento macroeconomico. Tuttavia, i criteri utilizzati per condurli non sono mai realmente neutri. A seconda dell’entità e della tipologia, finiscono per premiare o colpire le banche di questo o quel paese. Un esempio? Lo spread alle stelle. E’ noto che le banche italiane posseggano a bilancio molti titoli di stato italiani, grosso modo sui 400 miliardi di euro di valore. Ed è altrettanto noto che ciò indisponga il Nord Europa, che si batte da anni per recidere il legame tra bilanci statali e bancari.

Se conduci stress test con i quali ipotizzi che lo spread salga a livelli più che doppi rispetto ad oggi in Italia, sostanzialmente stai devastando una voce dei bilanci delle banche italiane, il cui capitale ne risulterà depresso. La conseguenza di questi esami rischia di essere pesante non solo per gli istituti, quanto per l’intero sistema economico nazionale ed europeo. Proiettando uno scenario estremo, evidenzi “buchi” nei patrimoni destinati ad essere coperti in più modi: riducendo la distribuzione di dividendi agli azionisti, varando aumenti di capitale e tagliando le esposizioni ad aree e clientele considerate a rischio.

In soldoni, gli stress test rischiano di portare a crolli dei prezzi azionari per le banche e alla riduzione dei prestiti per famiglie e imprese. E poiché i tessuti socio-economici più deboli sarebbero chiaramente quelli che già partono da condizioni meno favorevoli, la crisi riguarderebbe essenzialmente il Sud Europa. E non c’è bisogno che vi diciamo che le banche italiane risulterebbero tra le più colpite dai criteri adottati.

Rischi per PIL e BTp

Per quanto gli stress test siano operazioni periodiche, c’era davvero bisogno di predisporli in una fase complicata come questa? Le banche europee stanno iniziando a riprendersi dalla pandemia e al contempo fronteggiano i rischi della congiuntura debole nel continente.

Costringerle proprio ora a ricapitalizzarsi sarebbe depressivo per il PIL. Non vorremmo, poi, che qualche occhialuto funzionario a Francoforte abbia sbuffato dinnanzi alla performance molto positiva delle banche italiane in borsa – vedasi le azioni Unicredit – e alle valutazioni lusinghiere delle società d’investimento nei loro confronti.

Va benissimo costringere i banchieri a tenere i piedi per terra anche nelle fasi apparentemente più positive. Quando c’è un guaio, questi si rivolgono alla BCE in cerca di denaro gratis o persino sottocosto. Dunque, gli stress test in sé non sono da buttare. Ma i tempi sembrano essere inopportuni e alcuni criteri francamente sospetti. Se paventi lo spread a 400, segnali al mercato che tu stessa BCE non pensi che utilizzerai gli strumenti a disposizione per calmierare i rendimenti o, forse peggio, che questi non basteranno. Insomma, stai aprendo involontariamente le porte alla speculazione. A meno che qualcuno all’Eurotower non voglia giungere proprio ad uno scenario di crisi per rimettere l’inflazione sotto controllo a colpi di “credit crunch” dopo avere sbagliato una previsione dopo l’altra.

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