Addio alle agevolazioni fiscali a favore dei calciatori stranieri. Il Consiglio dei ministri del 28 dicembre scorso non ha prorogato i benefici del Decreto Crescita (Dl. 34/2019) per il mondo del calcio. La discussione è stata intensa e accesa tra i vari componenti del governo. Il vice-premier Matteo Salvini ha definito “immorali gli sconti”, mentre il ministro dello Sport, Andrea Abodi, e quello agli Esteri, Antonio Tajani, si sono spesi per una mini-proroga di due mesi, il tempo necessario per consentire ai club di Serie A di non subire contraccolpi al calciomercato di gennaio.

L’ipotesi era di procrastinare la disciplina fino al 29 febbraio. Tajani, che sostituiva la premier Giorgia Meloni per motivi di salute e che presiedeva il Cdm, alla fine ha dovuto prendere atto delle forti resistenze nell’esecutivo. Critiche erano state espresse, infatti, anche dal ministro del Turismo, Daniela Santanchè, e dal responsabile del Tesoro, Giancarlo Giorgetti.

Serie A teme ripercussioni sul calciomercato di gennaio

In cosa consistevano le agevolazioni fiscali sulle quali puntava Claudio Lotito, senatore di Forza Italia e presidente della Lazio? I calciatori stranieri, per l’esattezza coloro che erano stati residenti fuori dall’Italia almeno nei due anni precedenti, potevano assoggettare solo il 30% dei redditi percepiti in Italia all’Irpef, percentuale che nel tempo era stata innalzata al 50%. I calciatori dilettanti potevano continuare a pagare l’Irpef sul 30% dei redditi e solamente sul 10% se avessero trasferito la residenza in una regione del Sud.

In altre parole, calciatori e allenatori stranieri o italiani di ritorno dall’estero pagavano metà delle tasse. I club di Serie A hanno potuto così fare “shopping” tra i campionati stranieri per attirare i talenti del momento. La Lega di Serie A, tuttavia, ha eccepito nei giorni scorsi che soltanto 50 calciatori su 653 e su 1.083 contratti professionistici abbiano goduto delle agevolazioni fiscali. Inoltre, il costo della mini-proroga era stato stimato in 25 milioni di euro a carico dello stato, a fronte di un extra-gettito atteso sui 150 milioni.

Agevolazioni fiscali discriminatorie o impulso per il calcio italiano?

Sulle agevolazioni fiscali a favore dei calciatori stranieri esistono due scuole di pensiero, al di là dei legittimi interessi di parte. C’è chi sostiene che siano un modo per arricchire il campionato italiano, rendendolo più competitivo con gli altri sul piano delle imposte. Altri ribattono che le società sarebbero così incentivate a pescare tra i talenti stranieri, ignorando quelli italiani. E che il calcio tricolore abbia un grosso problema di scarsi investimenti nei vivai, è lapalissiano.

Ma, soprattutto, perché mai l’Italia dovrebbe offrire agevolazioni fiscali a chi viene dall’estero, nei fatti discriminando la generalità dei contribuenti che risiedono nel Bel Paese? Se è vero che esse servano a rendere più attrattivo il sistema Italia, d’altro canto bisognerebbe partire dall’abbassamento della pressione fiscale e burocratica per tutti per diventare realmente competitivi e attraenti. Anziché cercare di combattere i mali storici che affliggono l’economia italiana, cerchiamo escamotage per mascherarli. Accade più in generale con il trattamento di favore riservato ai cosiddetti “impatriati“, i “cervelli in fuga” di cui scriviamo quasi ogni giorno.

Calciatori stranieri in scia alle norme sugli impatriati

Ci sono migliaia di giovani italiani che annualmente espatriano in cerca di condizioni professionali migliori. E cosa fa lo stato italiano? Fa pagare loro meno tasse, anziché creare le condizioni affinché non portino fuori dall’Italia le loro competenze. Con la conseguenza paradossale che conviene quasi quasi trasferirsi all’estero per qualche anno e successivamente rientrare nel Bel Paese per pagare minori tasse. E’ il preludio al declino irreversibile. Con il calcio è stato applicato il medesimo schema: importiamo i Cristiano Ronaldo del caso, anziché chiederci perché le società non riescano a crescerli in casa.

Tra l’altro, i calciatori stranieri potranno continuare a beneficiare dell’imposta in somma fissa di 100.000 euro, erroneamente nota come “flat tax”, sui redditi maturati all’estero. Fu introdotta nel 2017 dall’allora governo Gentiloni, ennesimo esempio di come l’Italia punti più a farsi bella con gli altri senza provvedere realmente a migliorarsi al suo interno. P.S.: le agevolazioni fiscali per gli impatriati sono state confermate per coloro che hanno almeno la laurea. Fino a ieri, si era considerati “cervelli in fuga” anche andando a fare i pizzaioli a Londra.

[email protected]