Che l’Italia abbia una spesa pensionistica elevata, lo sostengono tutti i dati ufficiali pubblicati e il confronto internazionale effettuato con economie a noi simili per condizioni socio-economiche, appartenenti o meno all’Eurozona o alla UE. Spesso, un indicatore molto utilizzato per valutare quanto incida tale voce sulle risorse disponibili è il suo rapporto con il pil. E non vi è dubbio che Italia e Grecia guidino le classifiche internazionali. Se Atene spende oltre il 17% della sua ricchezza ogni anno per pagare le pensioni, l’Italia segue sulle stesse percentuali.

Anche depurando il nostro dato dalla spesa per prestazioni in altri paesi rientranti sotto altre voci (le pensioni di invalidità sono considerate dall’Eurostat spesa “sanitaria e assistenziale”), troviamo che il nostro paese spende ugualmente il 16% del pil per le prestazioni pensionistiche, una percentuale più alta del 50% di quella erogata dalla Germania, che si mostra l’economia più stabile su tale piano.

Si pensi che dal 1980 ad oggi, ovvero nell’arco di oltre un terzo di secolo, il governo tedesco spende sostanzialmente la stessa percentuale per le pensioni, vale a dire intorno al 10,5% del pil. L’Italia ha, invece, quasi raddoppiato l’incidenza, passando dall’8,9% di 37 anni fa. Come dire, che eravamo più virtuosi dei tedeschi a inizio anni Ottanta, grazie anche a una popolazione italiana allora mediamente più giovane, ma proprio in quel decennio abbiamo fatto esplodere la spesa pensionistica, che nel 1990 risultava già schizzata all’11,7% del pil. (Leggi anche: Spesa pensioni alta e per assistenza bassa in Italia)

Spesa pensionistica rapportata ai lavoratori

In questo articolo, vi proponiamo un altro indicatore per valutare la sostenibilità della previdenza, ovvero rapportando la spesa al numero degli occupati, essendo i contributi versati da questi ultimi a mantenere i pensionati.

Scopriamo così, che la Germania vanta oggi quasi 43,5 milioni di occupati, un numero praticamente doppio rispetto al nostro.

Ciascun lavoratore tedesco è tenuto, quindi, a contribuire ogni anno con poco meno di 7.600 euro all’anno al mantenimento della previdenza teutonica, pari a circa 633 euro al mese. Non poco, ma nemmeno tanto, specie considerando che il pil pro-capite tedesco è di oltre il 40% superiore a quello italiano. (Leggi anche: Lavoratori italiani occupati 7 anni in meno dei tedeschi)

 

 

 

 

Spagna più virtuosa di Italia e Francia

In Francia, a fronte di 5 milioni di occupati superiori ai nostri, i contributi annuali necessari per coprire del tutto la spesa pensionistica ammontano a poco più di 11.600 euro, una decina di euro in più di quelli che dovrebbe sborsare mediamente un lavoratore italiano, ma con la differenza che rispetto a un collega francese percepirebbe circa un quarto in meno.

Infine, la Spagna. Gli occupati sono qui più di 18,5 milioni, i quali devono sostenere una spesa pensionistica di quasi 120 miliardi per una media di 6.260 euro all’anno, pari a poco più di 520 euro al mese, quando un italiano e un francese dovrebbero sborsare più di 965 euro.

Serve maggiore occupazione

La riforma Fornero del 2011 ha abbassato l’esborso annuale previsto nell’arco dei prossimi decenni, ma tra bassa occupazione e invecchiamento progressivo della popolazione, non c’è da restare tranquilli, quando già oggi siamo in una situazione di allarme. Se su 100 italiani di età compresa tra i 20 e i 64 anni esistono 38 pensionati, da qui al 2050 è previsto che questi ultimi raddoppieranno, raddoppiando il loro peso sulla popolazione in età lavorativa. (Leggi anche: Spesa pensioni, più assegni che lavoratori)

Poiché non è possibile arrestare l’invecchiamento della popolazione, che oltre tutto è sintomatico di una società del benessere, per evitare il default dell’Inps dovremmo aumentare la platea degli occupati e sperare che il tasso di crescita dell’economia acceleri, sostenendo i salari e, di conseguenza, il monte-contributi.

Se avessimo un tasso di occupazione del 65%, avremmo oggi tre milioni di lavoratori in più e i contributi annuali a cui saremmo chiamati per garantire i conti in pareggio della nostra previdenza scenderebbero a meno di 860 euro al mese, restando elevatissimi, ma pur sempre di oltre il 10% inferiori rispetto alla situazione attuale.

 

 

 

 

Senza crescita, pensioni un lusso

In conclusione, anche il raffronto internazionale ci spiega che, affinché la spesa pensionistica in Italia sia sostenibile, serve che essa venga spalmata su un numero maggiore di lavoratori e che percepiscano retribuzioni più elevate. Ciò diventa possibile con un’accelerazione dei tassi di crescita economica, a sua volta dipende dalla maggiore produttività. Senza, la previdenza sarà sempre più un lusso. (Leggi anche: Economia italiana, ripresa lontanissima)