Il collasso della lira turca è stato drammatico questa settimana. La valuta emergente è arrivata a perdere il 27% questo mese, segnando un crollo del 43% da inizio anno. Con un’inflazione già salita al 20% a ottobre, gli analisti calcolano che i prezzi al consumo accelereranno la loro corsa in Turchia fino ad arrivare al 30% nei prossimi mesi. E l’economia domestica inizia a inviare segnali allarmanti di iperinflazione.

Nelle stesse ore in cui la lira turca precipitava fino al 14% in una sola giornata, gli acquirenti di elettronica di consumo online ricevevano un messaggio di errore sempre più frequente o la segnalazione che i prodotti richiesti non fossero disponibili.

Il rappresentante di un Apple Store a Istanbul ha dichiarato scioccato alla stampa estera che la gente starebbe correndo a comprare iPhone e altri prodotti elettronici come se fossero beni rifugio. E inoltre, il colosso di Cupertino non accetta più pagamenti in lire turche da mercoledì, al fine di ripararsi dalle fluttuazioni del tasso di cambio.

Il ragionamento che molti consumatori turchi stanno facendo è elementare e al tempo stesso razionale: con il crollo della lira turca, i prezzi in valuta locale stanno riducendosi in rapporto al dollaro. E con un’inflazione che quasi certamente non farà che correre, tra qualche mese questi beni potranno verosimilmente essere venduti a prezzi più alti, tutelando il potere d’acquisto. Se, poi, riuscissero a venderli online ad acquirenti stranieri, ancora meglio.

Rischio iperinflazione e stretta sui capitali

I marketplace stanno invitando i retailer a non alzare i prezzi almeno nella settimana del Black Friday. Il risultato è che ci sono stati in questi giorni pochi prodotti elettronici da vendere e tanti ordini di acquisto. Ed ecco che si è registrata la carenza di iPhone, cellulari e quant’altro. Segnali allarmanti di quel fenomeno che in gergo prende il nome di iperinflazione e che in questi anni abbiamo visto attecchire in economie allo scatafascio come il Venezuela o lo Zimbabwe, tanto per citare i due esempi più disastrosi.

Formalmente, si definisce iperinflazione la crescita mensile dei prezzi pari ad almeno il 50% per due mesi consecutivi. In un anno, la crescita sarebbe di almeno il 1.300%. La Turchia sta destabilizzando i prezzi interni a causa della politica monetaria adottata negli ultimi mesi con il taglio dei tassi d’interesse. Questi sono scesi dal 19% al 15% da settembre. Se l’inflazione dovesse salire al 30%, i tassi reali sprofonderebbero al -15%, sempre che la banca centrale non continui a tagliare il costo del denaro, ma finendo per alimentare certamente un collasso ancora più drammatico del cambio.

Sebbene ad oggi il governo abbia sempre smentito, i recenti avvenimenti ci inducono a pensare che la Turchia prima o poi sarà costretta a introdurre controlli sui capitali. Sarebbe l’unico modo per almeno cercare di frenare la caduta della lira continuando a tagliare i tassi, per quanto ciò inasprirebbe le condizioni finanziarie del paese e lo taglierebbe sostanzialmente fuori dai mercati internazionali.

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