Le campagne anti-fumo dei principali governi nel mondo hanno ridotto la propensione al fumo tra gli adulti nelle economie avanzate, secondo una tendenza che va avanti ormai da qualche decennio in Europa e Nord America, in particolare. Non lo stesso può dirsi dell’Asia, dove ancora è legata alla sigaretta una percentuale relativamente alla della popolazione. Nel sud-est del continente, ad esempio, a fumare è il 32% degli uomini e appena il 3% delle donne, ma con differenze anche abissali di stato in stato.

Se in India, ad esempio, compra le sigarette appena un maschio su cinque, in Indonesia si registra il record del 76%. Seguono il Laos con il 57%, la Corea del Sud con il 50%, la Cina con il 48%, il Vietnam con il 47%, etc. Nello stesso Giappone, dove pure il reddito medio delle famiglie è elevato e il tasso di istruzione anche, a fumare è ancora ben il 34% dei maschi adulti. I dati sono dell’Organizzazione Mondiale della Salute.

Dunque, nella quarta economia più popolosa al mondo, a fumare sono più di 3 maschi adulti su 4. E l’Indonesia è anche il secondo produttore di sigarette del pianeta, dietro solamente alla Cina. Lo scorso anno, ha messo in commercio 285 miliardi di sigarette, ma al contempo ha dovuto spendere lo 0,29% del pil per affrontare le spese legate ai danni provocati dal fumo alla salute dei suoi abitanti. La produzione indonesiana di tabacco cresce nell’ultimo lustro al ritmo annuale di oltre il 5%. (Leggi anche: Vietato fumare? E l’industria del tabacco offre sigarette gratis)

La proposta anti-fumo negli USA

Ogni anno, muoiono per malattie legate al fumo circa 6 milioni di persone nel mondo, quasi una su mille. In Asia, si trova il 30% dei fumatori di tutto il pianeta e si stima che l’80% di questi disporrebbe di un reddito basso. Per quanto in calo, però, anche presso le economie più ricche il fenomeno vanta ancora dimensioni rilevanti.

Nei soli USA, si calcola che fumino 36 milioni di americani. E allora, il commissario della Food and Drugs Administration, Scott Gottlieb, il mese scorso ha seminato il panico nell’industria del tabacco, quando ha proposto di tagliare il contenuto di nicotina nella sigarette.

Secondo il pensiero del fisico, la riduzione del tabagismo sarebbe possibile, se si tagliasse la quantità di nicotina contenuta in una sigaretta, “rendendola minimamente assuefante”. Ciò avverrebbe, secondo alcuni studi, riducendo del 90% la nicotina inserita nella sigaretta. Ora, va chiarito che la sostanza in sé non sarebbe affatto cancerogena, mentre lo sono le altre sostanze chimiche contenuta in una sigaretta. Tuttavia, è proprio la nicotina ad assuefare al fumo, creando dipendenza. Nella logica di Gottlieb, se si riducesse la quantità di nicotina di parecchio, si eviterebbe di fare intrappolare nella dipendenza da fumo chi si è avvicinato alla sigaretta, magari proprio tra i giovanissimi.

La proposta ha fatto scalpore in America, perché se venisse imposta all’industria del tabacco, ridurrebbe potenzialmente la platea dei fumatori, intaccando il fatturato e alla fine di luglio ha provocato cali in borsa per le azioni di colossi come Phil Morris o British Tobacco. Più che le campagne di sensibilizzazione contro il fumo, forse negli USA avrebbero trovato la risposta contro la dipendenza dalla sigaretta. (Leggi anche: Fumatori giovani e poveri nuovo target dell’industria del tabacco)