“En Grève Jusqu’à La Retraite”. Un gioco di parole che sintetizza tutto dello sciopero di ieri in Francia indetto dai sindacati dei lavoratori contro la riforma delle pensioni presentata dal governo di Elisabeth Borne. Letteralmente, sta per “in sciopero fino alla pensione/ritiro”, sottintendendo che le forze sindacali non hanno alcuna intenzione di mollare finché il presidente Emmanuel Macron non farà ritirare anche stavolta la proposta di legge al vaglio dell’Assemblea Nazionale. Prima del Covid, il tentativo era stato abortito dalle minacce di paralisi del trasporto ferroviario.

Ci avevano provato anche i presidenti Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy ed entrambi dovettero compiere un umiliante passo indietro. Sarà così anche stavolta?

Le centinaia di migliaia di lavoratori in corteo ieri da Place de la République a Place de la Nation sono solo la manifestazione più colorita di un’opposizione diffusa nel paese. L’ultimo sondaggio dell’IFOP racconta di un 28% soltanto di francesi favorevoli alla riforma delle pensioni contro il 32% della settimana prima. I favorevoli erano ancora in maggioranza prima del Covid. E dire che la proposta di Macron non sia poi chissà cosa. Prevede di innalzare l’età pensionabile da 62 a 64 anni e gli anni di contribuzione necessari per prendere l’assegno pieno da 42 a 43 anni. In cambio, le pensioni minime per i futuri pensionati saliranno a 1.200 euro al mese.

Sciopero per l’eccezione francese

Lo sciopero di ieri potrebbe essere stato solo l’inizio di una battaglia tra piazze ed Eliseo che si annuncia lunga e infuocata. I gilet gialli misero a soqquadro per mesi Parigi per molto meno. La riforma delle pensioni sarebbe poca roba, se confrontata con le leggi previdenziali in vigore negli altri stati europei. In Italia, ad esempio, l’età pensionabile di riferimento è fissata a 67 anni, sebbene soltanto 58 lavoratori su 100 riescano ad andare in quiescenza prima grazie alle numerose eccezioni.

Ma i sindacati e gran parte dell’opinione pubblica intende difendere con le unghia e con i denti quella che definiscono “l’eccezione francese”.

In estrema sintesi, frega nulla se nel resto del mondo si va in pensione più tardi. Le casse previdenziali nazionali risultano ancora in attivo, anche se andrebbero in passivo nei prossimi venticinque anni per lo 0,3-0,4% del PIL. Numeri, ad essere onesti, non propriamente drammatici. In cosa consiste la cosiddetta eccezione francese? Qualche dato. Nel 2022, ci sono state 723.000 nascite contro le meno di 400.000 in Italia. Il tasso di fertilità per le donne francesi è di 1,80 contro 1,25 in Italia. La popolazione, pur in forte frenata negli ultimi anni, continua a crescere dello 0,2-0,3% all’anno. In Italia, diminuisce dal 2018. Negli ultimi dieci anni, è salita del 9% in Francia, mentre in Italia è rimasta invariata. I dati sono di Worldometers.

A sentire i sindacati francesi, non ci sarebbe alcuna ragione per varare una riforma delle pensioni. A loro dire, si tratterebbe di un inchino ai mercati, di una decisione prettamente ideologica. Inutile prospettare loro possibili contraccolpi sul fronte demografico, miglioramenti agli assegni attuali e futuri in cambio di qualche sacrificio onestamente sopportabile. La Francia deve continuare a fare eccezione. Macron si gioca il senso stesso della sua presidenza. Dovesse fallire anch’egli, il messaggio che Parigi invierebbe al resto del mondo sarebbe devastante: la Francia è e resta irriformabile!

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