Per la prima volta da numerosi anni, tutti i sindacati dei lavoratori in Francia sono uniti contro il governo. A favorire le posizioni comuni è la battaglia contro la riforma delle pensioni. Il presidente Emmanuel Macron l’ha rimessa in agenda. La premier Elisabeth Borne punta a trasformarla in legge entro maggio. Ma se l’Eliseo promette di attuare “la madre di tutte le riforme”, Force Ouvrière annuncia “la madre di tutte le battaglie”. Tra i punti salienti della proposta di legge, l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni per i nati dal 1968.

L’aumento sarebbe graduale di tre mesi l’anno, a partire dal 2024 e fino al 2030. E saliranno anche a 43 gli anni di contributi necessari per percepire l’assegno pieno per i nati dal 1976.

Macron ci aveva provato durante il suo primo mandato a realizzare una riforma delle pensioni attesa in Francia da decenni. Dovette arrendersi alle manifestazioni di piazza imponenti e che rischiavano di paralizzare l’economia. I temuti ferrovieri avevano minacciato il blocco dei treni. In passato, ci provarono a destra sia Jacques Chirac che Nicolas Sarkozy. Entrambi, dovettero compiere un passo indietro dinnanzi al muro dei sindacati. E il guaio è che persino l’opinione pubblica sarebbe contraria a stragrande maggioranza.

Pensioni Francia, dati salienti

In Francia, esistono 42 casse previdenziali. Il sistema risulta confuso e nel 2019, stando ai dati del Conseil d’orientation des retraites, in media le donne sono andate in pensione a 62,6 anni e gli uomini a 62. In Italia, nello stesso anno la media fu di 63 anni, in Germania di 64 e in Olanda di 66. Per ottenere il via libera dei sindacati, Macron ha promesso l’aumento delle pensioni minime a 1.200 euro al mese per i nuovi pensionati, ma sembrerebbe disposto a beneficiare tutti i pensionati. Niente da fare, i sindacati non mollano.

La riforma delle pensioni si rivela determinante per le casse della previdenza francese.

Queste risultano ancora in attivo, ma le previsioni parlano di un deficit annuale tra 0,3% e 0,4% del PIL per i prossimi venticinque anni. Servirebbe la media di 10 miliardi di euro all’anno per tamponare il disavanzo. E già la spesa pubblica ammonta al 56-57% del PIL, tra le più alte al mondo. Macron ha anche promesso di destinare le risorse risparmiate al potenziamento del welfare. Ma Michael Zemmour, esperto di previdenza ed economista, ha replicato con proposte tese ad evitare la stretta sulle pensioni. L’eliminazione delle esenzioni contributive e del taglio delle tasse alle imprese farebbero risparmiare, sostiene, 12 miliardi all’anno entro il 2027.

La spesa per le pensioni in Francia ammonta a 340 miliardi, poco meno del 14% del PIL. Per i prossimi decenni, in percentuale risulterebbe sostanzialmente stabile. Questi dati sono sfruttati dai sindacati per dimostrare che la riforma delle pensioni presentata dal governo sarebbe del tutto non necessaria e risponderebbe più a logiche politiche e finanziarie. Temono che sia un atto di fede a favore dei mercati, che nei fatti piegherebbe le istanze sociali ai desiderata della finanza mondiale. Dal canto suo, Macron ha fatto del tema la sua principale battaglia identitaria. Se la perdesse, finirebbe il mandato con un flop d’immagine. Vorrebbe anche segnalare al resto d’Europa (e ai mercati) che la Francia non appartiene al Club Med, bensì al gruppo di testa del continente.

Riforma pensioni, accordo possibile con Repubblicani

Sul piano strettamente politico, l’unica convergenza possibile in prospettiva sarebbe con i Repubblicani. La sinistra di NUPES fa fronte unito con i sindacati e un dialogo con il Rassemblement National di Marine Le Pen non è neppure ipotizzabile. Il centro-destra si mostra disponibile a discutere, a patto di ottenere l’aumento delle pensioni minime e un innalzamento più graduale dell’età pensionabile entro il 2032.

Senza un accordo, Macron non avrebbe la maggioranza all’Assemblea Nazionale. Il suo partito La République En Marche detiene solo la maggioranza relativa dei seggi dopo le elezioni dello scorso anno.

Come ultima ratio e così come ha già fatto per altre leggi, la riforma delle pensioni passerebbe ugualmente grazie all’art.49-3 della Costituzione. Esso consente al governo di legiferare, tra l’altro anche sulla previdenza, facendo a meno del voto parlamentare. Tuttavia, un eventuale voto di censura affosserebbe la legge e probabilmente anche la legislatura, nonché la presidenza. I prossimi mesi saranno complicati per l’Eliseo. Le difficoltà sociali legate all’alta inflazione non si sono finora tradotte in manifestazioni di protesta. Questo argomento sembra il pretesto perfetto per riportare in piazza i famosi gilet gialli. Ma il presidente ha dalla sua il fatto di non doversi più ricandidare. Può fare ormai a meno della caccia al consenso e utilizzare gli ultimi quattro anni abbondanti di mandato per realizzare le riforme (impopolari) promesse sin dal 2017.

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