E’ notizia di questa settimana che l’amministrazione Biden ha deciso di rilasciare 50 milioni di barili di petrolio delle riserve strategiche. Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti immaginare, il mercato non ha reagito con cali delle quotazioni. Queste erano rimaste comprese nel solito range 80-85 dollari per il Brent, se non fosse stato ieri per la paura verso la variante sudafricana del Covid, che ha provocato un crollo a doppia cifra. Eppure, la mossa del governo americano era tesa proprio a “raffreddare” i prezzi del greggio, saliti ai massimi da tre anni e che stanno trainando l’inflazione ai livelli più alti da decenni.

All’indomani dell’embargo OPEC di cui fu vittima nel 1973, Washington diede vita alle Riserve Petrolifere Strategiche, da utilizzare in situazioni di emergenza. In quasi mezzo secolo, gli USA le hanno rilasciate una dozzina di volte, ma mai in quantità così elevate. Secondo gli ultimi dati disponibili al 12 novembre, il loro livello si attestava poco sopra 606 milioni di barili.

I 50 milioni di barili che verranno offerti al mercato americano basteranno a soddisfare la domanda interna per appena due giorni e mezzo ed equivalgono alla metà dei consumi giornalieri mondiali. La mossa rischia di essere percepita come disperata e anche questo spiegherebbe perché non starebbe funzionando per ridurre i prezzi. Anzi, gira voce che Arabia Saudita e Russia starebbero concordando una contromossa per sterilizzare la maggiore offerta degli USA e punirla di tale decisione.

Ritorsioni OPEC sul petrolio

L’OPEC si riunisce la prossima settimana per decidere se accelerare i piani per l’aumento dell’offerta quotidiana, già a +400.000 barili al giorno ogni mese fino a dicembre. Al vertice potrebbe essere deciso di frenare il ritorno alla normalità, prendendo spunto anche dalla reintroduzione delle restrizioni anti-Covid in Europa.

C’è, infine, un’altra ragione per cui il mercato non starebbe guardando positivamente alla mossa di Washington.

Teme che gli scarsi effetti dell’operazione finiscano per indurre il presidente Joe Biden a riattivare l’embargo sulle esportazioni americane di petrolio. Esso fu sospeso dall’amministrazione Obama da fine 2015 dopo oltre 40 anni. Al momento, gli USA esportano 3 milioni di barili al giorno. Qualora tale embargo fosse riattivato, il resto del mondo si troverebbe con una minore offerta di greggio, ma la stessa economia americana rischierebbe di essere colpita per via dei colli di bottiglia che sorgerebbero in fase di raffinazione del prodotto.

Non sarà una mossa “one shot” a rimettere in equilibrio il mercato. Le compagnie americane stanno producendo più di 1,5 milioni di barili di petrolio al giorno in meno rispetto ai livelli pre-Covid. E ciò è dovuto alla politica dell’amministrazione Biden, che nell’intento di perseguire obiettivi ambientali, sta mettendo il bastone tra le ruote al “fracking” e alle trivellazioni. Dunque, da un lato minaccia l’OPEC con il rilascio di parte delle riserve, dall’altro auto-restringe la propria produzione nella speranza che siano gli altri a estrarre di più. Un nonsense di cui il mercato globale ha preso atto e che si riflette sui prezzi.

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