L’INPS non farà in tempo a procedere con la rivalutazione delle pensioni superiori ai 2.100 euro al mese a febbraio. L’adeguamento slitta di un mese a marzo, quando ai titolari saranno erogati anche gli aumenti di gennaio e febbraio. Dunque, niente di perduto, solo che il carrozzone previdenziale ha i suoi tempi per svolgere il proprio dovere. Sappiamo che con il decreto ministeriale del 10 novembre 2022, il Ministero di economia e finanze ha provvisoriamente fissato al 7,3% la perequazione degli assegni per il 2023.

Dopo che l’ISTAT ha pubblicato i dati sull’inflazione di dicembre, sappiamo anche che la rivalutazione definitiva dovrà essere dell’8,1%. Dunque, salvo anticipo dei tempi, nel gennaio 2024 i pensionati avranno diritto anche al conguaglio dello 0,8%, cioè la differenza tra dato finale e provvisorio.

Nel frattempo, con la legge di Bilancio 2023 il governo Meloni ha compiuto due operazioni: riduzione della rivalutazione delle pensioni per gli assegni superiori alle quattro volte il trattamento minimo e passaggio da un sistema a scaglioni a uno a fasce. Questa seconda novità può sembrare innocua, ma non lo è affatto come vedremo con un semplice esempio tarato su un assegno lordo mensile di 2.200 euro nel 2022.

Rivalutazione pensioni con vecchie regole

Anzitutto, la rivalutazione delle pensioni fino al 31 dicembre 2022 era la seguente:

  • 100% dell’inflazione per gli assegni fino a 4 volte il trattamento minimo;
  • 90% dell’inflazione per la quota degli assegni tra 4 e 5 volte il trattamento minimo;
  • 75% dell’inflazione per la quota degli assegni sopra 5 volte il trattamento minimo.

Se le regole fossero rimaste immutate, a quanto sarebbe salito un assegno di 2.200 euro lordi? Anzitutto, dobbiamo tenere presente il trattamento minimo di 525,38 euro nel 2022. Fino a 4 volte il suo importo, cioè fino a 2.101,52 euro, la rivalutazione sarebbe stata del 7,3%: +153,41 euro. Dopodiché, si sarebbe applicata una rivalutazione del 90% del 7,3% (6,57%) per la quota eccedente i 2.101,52 euro: 6,57% x (2.200 – 2.101,52) = +6,47 euro.

In totale, quindi, l’aumento dell’assegno sarebbe stato provvisoriamente di 159,88 euro. L’importo sarebbe salito a 2.359,88 euro.

Aumenti assegni con regole 2023

Da quest’anno e fino al 31 dicembre 2024, le fasce raddoppiano da tre a sei e saranno le seguenti:

  • 100% dell’inflazione per gli assegni fino a 4 volte il trattamento minimo;
  • 85% dell’inflazione per gli assegni fino a 5 volte il trattamento minimo;
  • 53% dell’inflazione per gli assegni tra 5 e 6 volte il trattamento minimo;
  • 47% dell’inflazione per gli assegni tra 6 e 8 volte il trattamento minimo;
  • 37% dell’inflazione per gli assegni tra 8 e 10 volte il trattamento minimo;
  • 32% dell’inflazione per gli assegni sopra 10 volte il trattamento minimo.

In virtù delle nuove regole, ecco cosa accade a un assegno che nel 2022 era di 2.200 euro al mese. Esso supera le 4 volte il trattamento minimo, ma resta sotto le 5 volte tale importo. Questo significa che rientra nella seconda fascia. Il pensionato avrà diritto a una rivalutazione dell’85% dell’inflazione, cioè del 6,205%. Questa percentuale si applica sull’intero assegno e non solo sulla quota eccedente le 4 volte il trattamento minimo. Pertanto, la rivalutazione sarà di 136,51 euro e l’assegno salirà a 2.336,51 euro. Rispetto al caso precedente, quindi, c’è stato un minore aumento di 23,37 euro.

Effetti paradossali su assegni ai margini

Questa perdita è stata dovuta in minima parte per la minore rivalutazione dell’assegno sopra le 4 volte il trattamento minimo (dal 90% del 2022 all’85% di quest’anno). La parte del leone l’ha fatta, invece, l’indicizzazione dell’intero assegno alla minore rivalutazione. Il sistema precedente applicava le minori indicizzazioni solo sulle parti eccedenti degli scaglioni, mentre le nuove regole sottopongono tutto l’assegno alla fascia di appartenenza. Con effetti paradossali. Supponiamo di avere percepito nel 2022 un assegno mensile di 2.100 euro e che il nostro vicino di casa abbia percepito 2.102 euro. Per pochi spiccioli, noi rientreremmo nella prima fascia, il nostro vicino nella seconda.

Il nostro assegno aumenterebbe a 2.253,30 euro e quello del vicino a 2.232,43 euro.

Questo sistema ravvisa qualche problema di costituzionalità. Nel migliore dei casi, c’è una iniquità palese causata proprio dalla maggiore rivalutazione degli assegni appena inferiori ai limiti fissati dalle fasce rispetto a quella beneficiata dagli assegni di poco superiori. Sarebbe come se un reddito di appena un euro in più fosse tassato per intero con un’aliquota più alta. Ne vedremo delle belle tra ricorsi e sentenze della Consulta.

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