Non bastavano i rincari delle bollette di luce e gas, adesso è arrivato il turno di pasta e pane, alcuni degli ingredienti fondamentali della cucina italiana. A dire il vero, è da qualche mese che le famiglie li avvertono, anche se nelle ultime settimane sono diventati eclatanti. Secondo Federconsumatori, i prezzi della farina sono aumentati mediamente del 38%, sfondando la soglia di 1 euro al chilo. E per la pasta integrale segnano +33%, mentre per il pane salgono dell’11%. Tutto questo tra marzo e ottobre, cioè in poco più di un semestre.

I rincari di pane e pasta non sono un fenomeno solamente italiano. L’indice dei prezzi alimentari della FAO segnala aumenti medi del 32,8% su base annua nel mondo per il mese di settembre. Tra l’altro, la carne risulta aumentata del 26%, gli oli vegetali di oltre il 61% e i cereali del 27,4%.

Ma cosa sta succedendo? Sui mercati italiani, a settembre i prezzi del grano duro erano saliti del 70% annuo, quelli del grano tenero del 37%. E già in questi giorni le quotazioni del grano duro a Parigi hanno sfiorato i 300 euro per tonnellata, salendo del 45% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il problema è che il Canada, uno dei principali produttori mondiali, ha avuto bassi raccolti e si stima che esporterà solamente 15 milioni di tonnellate di grano, ai minimi dal 2002.

Rincari pane e pasta, rischio tensioni

E dalla Russia non arrivano buone notizie. Con una media di 35 milioni di tonnellate all’anno esportate, di fatto muove i prezzi internazionali. Mosca ha imposto dazi alle proprie esportazioni per aumentare l’offerta interna. Un altro colpo ai consumatori come l’Europa, che pure confidava in una buona annata, grazie ai buoni raccolti attesi dall’Ucraina.

Ad ogni modo, i rincari di pane e pasta si devono anche al boom delle quotazioni energetiche. I costi di produzione e trasporto si stanno impennando, dato che il petrolio quest’anno è passato da poco più di 50 a 85 dollari al barile.

Svariate altre materie prime costano oggi molto, molto più di alcuni mesi fa. Tutto ciò si ripercuote sui prezzi al consumo, come denota il rialzo dei tassi d’inflazione un po’ ovunque e ai massimi da decenni.

Peraltro, la pandemia ha ridotto l’offerta di navi cargo disponibili per il trasporto delle merci. E così, il Baltic Dry Index in questi giorni segna un rialzo di oltre il 150% su base annua, segnalando l’esplosione dei costi di affitto degli spazi per l’invio di merci su acqua. Vero è, però, che dai primi di ottobre l’indice ha subito quasi un dimezzamento. Una serie di coincidenze, quindi, rischia di fare saltare i nervi alle famiglie. Parliamo di un business complessivo di 23 miliardi di euro all’anno in Italia. E non dobbiamo dimenticare che forti tensioni nel mondo (vedi le Primavere Arabe) sfociarono a cavallo tra il 2010 e il 2011 proprio sulla scia dei forti rincari dei generi alimentari.

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