Alberto Brambilla è uno dei massimi esperti di previdenza che abbiamo in Italia. I suoi Itinerari Previdenziali ogni anno ci offrono numerosissimi dati sull’andamento della spesa e sull’evoluzione socio-demografica. Un’autorità indiscussa nel settore, con il pregio di non avere mai peli sulla lingua e riverenza verso il governo o ministro di turno. Anche in questi giorni è tornato a dire la sua. Ha elencato tre proposte per una riforma delle pensioni che sia al contempo equa e sostenibile, vale a dire anche efficiente.

Tre proposte di Alberto Brambilla

Il primo punto riguarda la fissazione di criteri standard per andare in pensione prima del tempo. Egli propone Quota 102, cioè il raggiungimento di 64 anni di età e 38 anni di contributi. Tuttavia, l’età anagrafica dovrebbe essere agganciata all’aspettativa di vita secondo i dati aggiornati dell’Istat. Questo significa che, per Brambilla, se l’aspettativa di vita aumenta, anche i 64 anni di età per la pensione anticipata andrebbero innalzati.

Il secondo punto ha a che fare proprio con la pensione anticipata. Per la legge Fornero essa è possibile con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, indipendentemente dall’età anagrafica. Per Brambilla, non esiste in nessuna parte del mondo che questo requisito venga agganciato all’aspettativa di vita.

Infine, il terzo punto. Qui, l’esperto tira le orecchie al governo Monti, reo di avere differenziato i requisiti e le condizioni per la pensione tra lavoratori ricadenti sotto il sistema misto e quelli contributivi puri. Una disparità di trattamento a favore dei primi, che non avrebbe motivo di essere in un sistema a ripartizione, cioè caratterizzato dalla cosiddetta “solidarietà intergenerazionale”. Ad esempio, Brambilla nota come non sia prevista l’integrazione al minimo per i lavoratori contributivi puri, a differenza di quanto accade ad oggi con i misti.

Riforma pensioni, rischio tensioni sociali

In altre parole, in futuro ci saranno potenzialmente milioni di pensionati a percepire assegni bassi e insufficienti per vivere. Al contempo, Brambilla non risparmia critiche al governo di Giorgia Meloni. Definisce “schizofrenica” la sua legislazione sulla pensione contributiva. Da un lato, allenta i requisiti per consentire ai lavoratori di andare in pensione a 67 anni, abbassando l’importo dell’assegno necessario da 1,5 a 1 rispetto al trattamento minimo. Dall’altro, nota, servirà un assegno più alto per anticipare l’uscita a 64 anni, portando l’assegno necessario da 2,8 a 3,3 il trattamento minimo per gli uomini e le donne senza figlia. La nuova disciplina prevede, poi, requisiti invariati per le donne con un figlio, mentre per le donne con due o più figli “basterà” maturare un assegno pari a 2,6 volte il trattamento minimo.

L’intervento di Brambilla rileva, in particolare, nella parte in cui propugna pari trattamento tra lavoratori misti e contributivi. In effetti, sembra che tutto il fardello dei “buchi” previdenziali venga fatto ricadere sui secondi, cioè gli attuali lavoratori relativamente giovani. Ciò sta già portando a forti tensioni sociali e che rischiano di esplodere in misura crescente nei prossimi decenni.

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