Nessuna ratifica della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). La premier Giorgia Meloni ha ribadito lo scorso mercoledì la posizione del governo italiano al suo primo “question time” alla Camera dei Deputati. Poiché si tratterebbe di uno strumento destinato a non essere mai utilizzato, quale senso avrebbe ratificarlo, si è chiesta retoricamente. A quel punto, ha spiegato, che intende fare sua la posizione di Confindustria, per cui il MES dovrebbe essere trasformato in uno “strumento di politica industriale”.

Italia non ratifica

L’Italia è rimasto l’unico dei ventisette paesi dell’Unione Europea a non avere ancora avallato la riforma del MES con un voto del Parlamento.

La questione si trascina da un paio di anni e ha riguardato lo stesso governo Draghi, a causa delle divisioni in seno all’allora composita maggioranza. Il centro-destra ha sfumature diverse sul tema. Forza Italia prevede che prima o poi la ratifica arriverà, mentre Lega e Fratelli d’Italia restano su posizioni contrarie o perlomeno scettiche.

La riforma del MES prevede in estrema sintesi un “backstop” a sostegno del Fondo di risoluzione bancaria e una procedura più snella per i casi di ristrutturazione del debito pubblico. A seguito della crisi delle banche esplosa con dirompenza negli Stati Uniti nei giorni scorsi, i governi partner dell’Area Euro si aspettano che l’Italia acceleri l’iter per giungere alla ratifica. Tuttavia, esistono questioni irrisolte. Una riguarda la stessa Unione bancaria, il cui completamento manca per l’opposizione del Nord Europa alla garanzia unica sui depositi.

All’Ecofin di martedì, la Germania ha poi cambiato posizione sulla riforma del Patto di stabilità, costringendo gli alleati a prolungare il negoziato. Il tema è molto delicato. Dall’anno prossimo, le regole di bilancio dell’Unione Europea torneranno in vigore dopo essere state sospese per quattro anni a causa della pandemia.

Esse consistono essenzialmente nel porre un tetto al deficit pari al 3% del PIL e nel tendere a un rapporto tra debito pubblico e PIL del 60%. L’Italia reclama maggiore flessibilità fiscale. Le soluzioni ipotizzate non mancano. Ricorrente l’ipotesi di scorporare gli investimenti pubblici dal computo del disavanzo.

MES contro Patto di stabilità

Tuttavia, un accordo non c’è. E Meloni intende sfruttare la (mancata) ratifica del MES come arma negoziale per giungere a un baratto sul Patto di stabilità. Dal canto suo, la Germania spera che la ratifica italiana arrivi prima che siano riscritte le regole di bilancio comunitarie. Siamo all’impasse. A voler essere onesti, il MES non è così importante per Bruxelles. Nei fatti, si tratta di un ente nato dalla crisi dei debiti sovrani di una dozzina di anni fa e che ad oggi non è mai intervenuto a sostegno di governi o banche, semplicemente perché nessuno ne ha fatto richiesta.

Ma i governi europei hanno investito molto capitale politico nel MES e temono che una sua mancata ratifica faccia emergere l’assenza di strumenti anche solo formali con cui combattere le crisi. L’effetto stigma legato a questo istituto di diritto lussemburghese impedisce una discussione serena sulle sue reali potenzialità di sostegno a governi e banche in crisi. Molto più impellente sarebbe la riforma del Patto di stabilità, dato che torneremmo alle vecchie regole di bilancio in assenza di novità.

Alla Germania starebbe bene e, detto in estrema franchezza, i tedeschi non si strapperebbero i capelli per il caso in cui il nuovo MES non entrasse in funzione. Fino a poche settimane fa, erano l’altro paese insieme all’Italia a non avere ratificato la riforma nell’attesa di un responso della Corte Costituzionale. Le richieste dell’Italia appaiono poco digeribili al ministro delle Finanze, Christian Lindner, leader dei liberali.

Che si tratti di completare l’Unione bancaria o di rendere più flessibile il Patto, Berlino nicchia. E così anche Roma.

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