Partecipando ad un convegno dell’Associazione nazionale dei commercialisti, il vice-ministro dell’Economia e finanze ha annunciato che entro marzo sarà presentata una bozza di riforma dell’IRPEF al Consiglio dei ministri. Maurizio Leo è uomo fidato della premier Giorgia Meloni, di fatto il responsabile economico per Fratelli d’Italia. Ha parlato della necessità di “addolcire” la progressività delle aliquote IRPEF, pur compatibilmente con le disponibilità del bilancio. Il primo step consisterebbe nel ridurre le aliquote da 4 a 3. Già lo scorso anno, il governo Draghi le aveva ridotte da 5 a 4, abbassando al contempo la seconda e la terza rispettivamente dal 27% al 25% e dal 38% al 35%.

Leo prospetta come obiettivo di fine legislatura la “flat tax” per tutte le categorie dei contribuenti. Fino ad oggi, i lavoratori autonomi possono avvalersi dell’imposta piatta al 15% sui ricavi fino a 85.000 euro. Esiste, tuttavia, una ingiustificata e confusa difformità di tassazione dei redditi, a seconda della categoria di appartenenza. Lo stesso vice-ministro ha fatto presente che ciò sia il risultato di una sedimentazione di decenni di eccezioni alla riforma fiscale del 1973.

Le tre aliquote IRPEF di cui si parla in questi giorni sarebbero del 23%, 27% e 43%. Ma ciò non basta per capire chi guadagnerebbe e quanto. Serve conoscere, anzitutto, su quali scaglioni di reddito insisterebbero. L’idea sarebbe, comunque, di perseguire la strada della tassazione duale, così come prospettata dal governo precedente. In sostanza, aliquote progressive e tendenzialmente uguali per tutti i redditi da lavoro (e pensioni), mentre sui redditi di altra natura sarebbero previste aliquote piatte. Si pensi alla cedolare secca sui canoni di locazione e ai proventi di tipo finanziario.

Riforma IRPEF, entra il quoziente familiare

La riforma IRPEF sarà la madre di tutte le riforme. Questa imposta contribuisce al gettito fiscale per 200 miliardi di euro all’anno, più del 10% del PIL. Soprattutto, essa è la principale fonte di redistribuzione dei redditi.

Basti pensare che il 45% dei contribuenti con redditi più bassi contribuisce per appena il 13% del gettito, mentre il 13% dei contribuenti più ricchi (sopra 35.000 euro) contribuisce per il 60%. Una delle storture a cui il governo Meloni intendere rimediare è la diversa “no tax area” prevista a seconda delle categorie: 8.500 euro per i pensionati, 8.174 euro per i lavoratori dipendenti e 5.500 euro per i lavoratori autonomi. Anche in questo caso, unica soglia di reddito esentasse per tutti.

E poi c’è la questione delle detrazioni fiscali. Molte di esse non sono più previste al di sopra di una certa soglia di reddito (dai 120.000 euro scendono fino ad azzerarsi intorno ai 240.000 euro). L’idea sarebbe qui di estendere le agevolazioni a tutti i contribuenti e al contempo di ridurle nel complesso per recuperare base imponibile necessaria per tagliare le aliquote IRPEF.

Infine, il quoziente familiare. Bandiera storica della destra, anche se resta da definirne i criteri esatti. Il sistema fiscale francese lo prevede. In soldoni, se un single e una famiglia di quattro componenti guadagnano 40.000 euro all’anno, nel secondo caso i redditi sarebbero tassati di meno. Chissà se questo sistema ingloberebbe molte delle attuali agevolazioni legate ai redditi ISEE, le quali nei fatti sparirebbero per lasciare spazio a una razionalizzazione del fisco! Servono risorse, tante. Per questo la riforma IRPEF sarà graduale e nell’arco della legislatura. Ci sono interessi contrapposti da considerare per evitare che questa o quella categoria di contribuenti strilli contro una revisione di aliquote, detrazioni e criteri impositivi sedimentatisi nell’arco di mezzo secolo. Unica certezza: lo status quo non può più essere mantenuto.

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